In un futuro imprecisato, nuove mutazioni stanno avvenendo nel corpo umano. Dopo aver perduto quasi totalmente i recettori del dolore, e inspiegabilmente scomparse le infezioni, le persone trovano piacere fisico solo martoriandosi; lo definiscono “il nuovo sesso”. Alcuni individui però sviluppano mutazioni più complesse: la crescita di veri e propri organi mai visti prima. Saul Tenser è un “artista performativo”, che assieme alla sua compagna Caprice allestisce spettacoli pubblici durante i quali lei lo opera da sveglio recidendogli i nuovi organi. È un testamento dell’ordine che combatte l’anarchia nel suo corpo. Ma le forze di polizia sono molto sospettose di questi mutanti: se la mutazione dovesse imporsi e passare geneticamente a un discendente, significherebbe la nascita di una nuova creatura. Qualcosa che non sarebbe più umano…
Uomo avvisato mezzo salvato. David Cronenberg è sempre stato molto coerente nei suoi film: una forte carica intellettuale, la scelta di argomenti tabù, il tutto condito con l’orrore gore. Non per nulla vengono raccolti nel sottogenere “body horror”: famoso è il caso de La Mosca, dove assistiamo alla lenta scarnificazione di un uomo mutante, e così anche Scanners, con la famigerata scena di una testa che esplode e altri piacevoli episodi. Crimes of the Future non è da meno. Lo spettatore dovrà prepararsi a vedere lame che grattano nei piedi fino all’osso, bocche che leccano addomi aperti, fino a vere e proprie autopsie.
Omonimo del secondo film di Cronenberg realizzato nel 1970, questo nuovo titolo ha poco o nulla a spartire col predecessore, se non i temi che ossessionano il regista canadese. Evoluzione, carnalità, coscienza e perversione: non esaurienti, ma qui si toccano le macro-aree delle sue distopie. Il regista si distingue ancora per l’intellettualismo e la verbosità, che in parte raffreddano il sentore morboso dei suoi film, e lo avvicinano di più ai film filosofici russi.
Per confessione stessa di Cronenberg, il film è in gran parte allegoria dell’artista e della sua opera. Una scena vede un uomo che ha sviluppato orecchie su tutto il suo corpo, e cucendosi occhi e bocca accende la musica e danza perché “è giunto il tempo di ascoltare”. Le discussioni concettuali sull’arte si sprecano lungo la pellicola: si parla di retorica, volontà, immedesimazione. Il tema caldo è la “bellezza interiore del corpo”, aprirsi e tagliarsi e offrirsi, per tutti da vedere. Tenser viene detto “artista” perché i tumori che cresce nel corpo li accudisce, quindi li prepara e li dona al pubblico. Trasforma la sua e la loro esperienza in qualcosa di nuovo; come le performance di Marina Abramovic, quella di Tenser e Caprice diventa una presa di posizione sociologica e politica. E così viene riletta tutta l’arte. Ma sta al pubblico di valutare se da Giotto a Van Gogh l’arte fosse questo.
Un punto a favore della pellicola è quello di avere almeno una trama; un fattore non scontato nel cinema d’artista. Quello che lascia perplessi però è dove, alla fine, la storia ci conduca. Cronenberg inquieta il pubblico parlando di dolore, piacere, sesso, arte, violenza, identità… ma abbandona tutti questi temi per occuparsi poi di ambientalismo: l’inquinamento e lo smaltimento della plastica.
Tenersi lo stomaco per la nausea per poi vedere il film concentrarsi altrove può giustamente lasciare insoddisfatti. Rimane il sapore di qualcosa di inconcluso e di temi vecchi, affrontati in modo vecchio. Abbastanza da chiedersi se è valsa la pena di prendersi il disturbo.
Alberto Bordin
Tag: 2 Stelle, Arte, Fantascienza