Adonis Creed si è ritirato dalla boxe, concentrandosi sulla famiglia e la palestra. Lui e il suo allenatore Duke hanno un nuovo pupillo, il campione del mondo Felix Chavez, per il quale preparano un match di boxe contro l’ex rivale Viktor Drago. Tuttavia il passato bussa alla porta: Adonis incontra l’amico d’infanzia Damian Anderson, uscito di carcere dopo 18 anni per un crimine a cui lo stesso Adonis aveva assistito. Damian, ex promessa del pugilato, ormai “vecchio”, chiede ad Adonis un’occasione per scontrarsi con il campione. Adonis accetterà; ma presto scoprirà che Damian serba pianti di vendetta…
Nonostante gli incassi ottimali (270 milioni nel mondo contro i 75 di produzione) Creed III è apprezzato dalla critica ma delude i fan, ottenendo su IMDb le recensioni più basse della “trilogia”. La causa possiamo ravvisarla in un racconto scritto “a tavolino” e assai poco genuino. La storia non suona credibile, e l’evoluzione della sceneggiatura risulta artefatta. È in particolare Micheal B. Jordan, firmando la regia di questo terzo capitolo, che cerca di manipolare il flusso emotivo del film deludendo poi le aspettative.
L’anello debole è la storia pregressa con Damian e il conseguente il conflitto tra lui e il protagonista Adonis. Sul passato dei due ragazzi e l’arresto di Damian, gli autori cercano di creare suspence ritardando la “grande rivelazione”; è un lungo tira e molla, che rimbalza tra il senso di colpa del giovane Creed e le pacche sulle spalle dei suoi amici. A mistero risolto, però, le verità sono due: non c’è alcun colpo di scena, e in fondo in fondo il senso di colpa di Adonis è assai più legittimo di quanto il film voglia ammettere.
Non solo nel passato però: anche nel presente il motore della storia s’ingolfa e avanza a scatti. Il personaggio di Damian è scritto in modo schizofrenico. Nella prima metà incarna l’antagonista malinconico, ferito e invidioso, ossessionato, autentico nella rabbia e nella violenta sete di giustizia; ma presto si trasforma in un nemico manipolatore e bugiardo, accecato dal successo e dimentico di ogni affetto del passato. Due personaggi completamente diversi.
Ma la nota più dolente che si potrebbe percepire durante il film è una certa forma di “ipocrisia”.
Creed III è un film piacevole di boxe, che scivola nelle sue quasi due ore. Ma quello che stona è quanto si impegni a dirci che Damian è il “cattivo”; e non ci è chiaro il motivo. È vero, più tardi scopriremo che Damian ha giocato sporco pur di salire sul ring. Ma la sua pretesa di avere un’opportunità, di mostrare il suo valore, la richiesta di un’ultima chance prima che sia troppo tardi: tutto questo sembra molto (troppo) simile allo spirito che hanno mosso prima Rocky e poi Adonis. Non a caso quando Adonis dice a Damian che è impossibile organizzare un match per lui con il campione, giustamente Damian ribatte che lui stesso ha avuto quella occasione, Rocky l’ha avuta. Perché Damian no?
Perché Damian è il cattivo? Perché è stato in carcere? Perché era un criminale? Perché sul ring fa una mossa scorretta e più tardi il suo avversario finisce in ospedale? Si tratta pur di un incontro di boxe; è davvero “tanto” diverso dai nostri eroi? E parlando di eroi, intanto il giovane Creed sarà chiamato a tornare a combattere, mosso da un ideale poco limpido e poco interessante.
La storia di Damian, ci pare, era la storia di un uomo abbandonato e reso cattivo dalla sua solitudine. Invece che prenderlo a botte sul ring, sarebbe valso fin da subito chiedergli perdono. Forse questa non era l’evoluzione rocambolesca che si sperava; ma sarebbe stata una storia più sincera e più giusta.
Alberto Bordin
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