Monica è in carcere e grazie a Giovanni, il politico con cui ha avuto una breve storia, riesce a uscire. Dovrà però scontare la sua pena svolgendo un lavoro di pubblica utilità in una parrocchia di periferia. Peccato che questa parrocchia confini con il nuovo polo culturale che Giovanni, sotto la guida della sua nuova fidanzata, sta per inaugurare.
Sono passati tre anni e Monica (Paola Cortellesi) è stata arrestata a causa delle sorelle gemelle e cleptomani che hanno nascosto la refurtiva nel suo nuovo locale. Per uscire dal carcere a Monica non resta altra scelta: chiamare Giovanni (Antonio Albanese), il politico di cui è stata innamorata, dopo averlo conosciuto perché suo figlio Alessio ha avuto una storia con Agnese, figlia di Giovanni.
Entrambi i “fidanzamenti” sono durati poco proprio come la vita di un gatto dura in tangenziale. Ma davvero è così?
Per Monica la soluzione c’è e si chiama Giovanni. Con una telefonata il politico, ora attivo nel campo della cultura, trova una soluzione legale: la pena di Monica si può convertire in un lavoro di pubblica utilità.
E Roma, di queste possibilità, ne è piena.
Peccato che questo lavoro sia da svolgere in un posto “particolare”, dove Monica dovrà lavorare ma anche vivere e dormire.
Il luogo è una parrocchia dove vivono suore rigidissime e un prete (Luca Argentero) attivo nel sociale, bello, intelligente, attento agli altri, fedele alla sua vocazione e allo stesso tempo libero nel pensiero e nelle azioni.
La parrocchia sorge in una periferia romana proprio a pochi metri dal nuovo polo culturale che sarà inaugurato a breve. E proprio in quel polo sta lavorando Giovanni, insieme alla neo fidanzata (Sarah Felberbaum), una donna giovane, elegante, intelligente che sa gestire una rete di sponsor sensibili all’operazione culturale. E dove sono finiti Agnese e Alessio, rispettivamente i figli di Giovanni e Monica?
Entrambi, senza dirselo, sono a Londra. Si incontrano per caso in un pub dove lui lavora come cameriere.
Il finale di Come un gatto in tangenziale era un finale “aperto” facilmente trasformabile in un secondo lungometraggio. I sequel, si sa, non sempre sono all’altezza del primo film. Ma Ritorno a Coccia di Morto non è di quei sequel che si limitano a strizzare l’occhio ai fan.
Qui si gioca sugli ossimori, la storia si allarga e le differenze sociali assumono un ruolo, quasi, di secondo piano perché gli eventi hanno due cornici ben delineate, la chiesa e un nuovo polo culturale.
Da una parte c’è una gestione “sociale” di una parrocchia; dall’altra parte c’è una gestione “politica”, che celebra l’arte contemporanea, vista anche nei suoi aspetti più superficiali, effimeri e modaioli: siamo molto lontani dalle opere immortali di Michelangelo, di Bernini e di Raffaello.
C’è qualche personaggio non necessario, qualche linea narrativa un po’ prevedibile: si alternano scene esilaranti (come il nuovo lavoro di Monica che consiste nella catalogazione dei libri della biblioteca, una scena volutamente inserita nel trailer) a scene meno originali (la fidanzata di Giovanni perfetta in ogni particolare e scontata nelle sue “scenate” di gelosia professionale) ma il risultato finale del sequel di Come un gatto in tangenziale è una riuscita commedia brillante adatta per il grande pubblico.
Emanuela Genovese
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