Howard, pubblicitario di successo dal gran carisma, va in crisi dopo la morte della figlia di sei anni. I colleghi e soci, preoccupati per lui, ma anche per la loro agenzia che rischia di andare a rotoli con il suo fondatore, decidono di “scuoterlo” assumendo tre attori per impersonare Morte, Tempo e Amore, le tre astrazioni che Howard usava per incanalare la sua creatività e a cui ora scrive per sfogare il suo dolore. Gli incontri che ne scaturiscono porteranno a un cambiamento non solo nella vita di Howard…
Drammone parlatissimo in cui Will Smith sfoggia cinquanta sfumature di tristezza (in realtà meno, siamo onesti, non è poi così bravo) e qualche istinto suicida (nonché notevoli capacità di architettare complicatissime costruzioni di domino) per raccontare l’impossibile elaborazione del lutto per la morte di un figlio. Alla sua storia si intrecciano quelle dei colleghi/amici divisi tra affetto e necessità di farsi i conti in tasca (anche loro ovviamente hanno un problema da risolvere, guarda caso con le stesse “entità” che assumono per visitare Howard…).
Vista l’atmosfera natalizia, ovviamente si potrebbe pensare a una rielaborazione un po’ new age dei fantasmi di dickensiana memoria, ma qui lo sceneggiatore Loeb (Mia moglie per finta, ma anche il sequel di Wall Street) e il regista Frankel (che aveva fatto di meglio ne Il diavolo veste Prada e, sempre in tema di lutto, in Io e Marley), che hanno tra le mani un super cast, decidono invece di affidarsi a un gioco di incastri e sottrazioni francamente un po’ prevedibile e inanellano una serie infinita di dialoghi i quali, scagliandosi contro la trita letteratura del dolore, finiscono per essere loro stessi un concentrato di ovvietà.
Non bastano appunto gli interpreti di peso (su tutti Helen Mirren, che si ritaglia il ruolo della Morte) per salvare dalla mediocrità un film con cui dispiace essere crudeli vista la delicatezza del tema trattato, ma che poco o nulla aggiunge al genere, e si trascina per i suoi 90 minuti senza guizzi di originalità.
La bellezza collaterale, evocata dal titolo e tirata fuori come via d’uscita dal dolore paralizzante della morte, resta un’astrazione ancora e più delle entità a cui si rivolge Howard, non certo una bellezza che salva; tanto che lo scioglimento finale, con una sorpresa che non è tale, sa di troppo facile e perde la vera unica grande occasione di commuovere davvero.
Luisa Cotta Ramosino
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