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C’era una volta il crimine


TITOLO ORIGINALE: C'era una volta il crimine
REGISTA: Massimiliano Bruno
SCENEGGIATORE: Massimiliano Bruno, Alessandro Aronadio, Andrea Bassi e Renato Sannio
PAESE: Italia
ANNO: 2022
DURATA: 100'
ATTORI: Giampaolo Morelli, Marco Giallini, Gian Marco Tognazzi, Carolina Crescentini, Massimiliano Bruno, Edoardo Leo e Giulia Bevilacqua
SCENE SENSIBILI: nessuna
1 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 5

Al saccente Moreno e all’inetto Giuseppe, criminali occasionali, si unisce il professore di storia Claudio Ranieri, pedissequo ed iracondo. I tre vengono introdotti da Gianfranco e la sodale Lorella in un portale spazio temporale che li porta all’8 settembre 1943. Nel caos dovuto all’armistizio il loro scopo patriottico è riportare la Gioconda in Italia, ma i pericoli sono più di quelli previsti e la loro è una fuga mozzafiato per riuscire a salvarsi. Scappando dai nazisti si rifugiano nella casa della nonna di Moreno, antifascista convinta e qui lui riconosce sua mamma bambina poco prima che venga portata via dai tedeschi. L’obbiettivo della banda è ora salvare quest’ultima innocente in un viaggio lungo la penisola, districandosi fra le forze belligeranti. Mentre i nostri incontrano Mussolini, Re Vittorio Emanuele e il partigiano Sandro Pertini, sarà con l’aiuto di Renatino De Pedis e la Banda della Magliana che affronteranno l’esercito nazista nello scontro finale.

Un trilogia che non rimarrà nella storia

Nonostante le sue buone intenzioni, dopo Non ci resta che il crimine (2019) e Ritorno al crimine (2021), con questo film, che chiude la trilogia, Massimiliano Bruno non rimarrà nella storia. Seppure gli attori dimostrino ormai un buon affiatamento, la scrittura dà vita ad una comicità sempre piuttosto superficiale, non elevando il livello della nuova commedia all’italiana come da tempo aspettiamo che avvenga. Se l’action non compete con i mezzi e gli effetti a cui ci hanno abituato i kolossal internazionali, l’umorismo nostrano sembra piuttosto ripetitivo e non riesce mai a sorprendere. Ci si ispira a Ritorno al futuro o a Bastardi senza gloria, per viaggiare nella storia con la possibilità di modificarne gli eventi, ma adottare un meccanismo drammaturgico non basta a legittimare un nuovo titolo. Inoltre, per attingere alla fantascienza serve un minimo di credibilità, mentre nel caso in oggetto gli autori non si peritano assolutamente di giustificare il surreale espediente che innesca tutta la vicenda. Siamo nei giorni dell’armistizio del ‘43 e questo riconduce a un blasonato repertorio cinematografico il cui confronto di per sé evidenzia la fragilità del film. Una parodia sullo scontro fra partigiani buoni e nazifascisti cattivi, così tanto visitato da film di successo italiani e stranieri, corre il rischio di risultare déjà vu e non può avere la velleità di essere originale.

Eroi occasionali e personaggi storici, ma senza mai profondità

Il tentativo di ibridare i generi narrativi e quindi di voler fare una commedia come Non ci resta che piangere, ma con il ritmo di un film d’azione, porta ad un affollarsi di situazioni, spesso ripetitive, certo non tutte necessarie e in cui i personaggi fittizi e quelli storici non hanno spessore. Giallini, Tognazzi e Morelli danno corpo a patrioti involontari, che cavalcano gli stereotipi che sono loro assegnati, con battute non sempre felici, mentre la Crescentini riesce a dare un taglio più credibile alla sua donna coraggiosa. Si aggiungono, poi, Mussolini, una caricatura catartica del mito, Vittorio Emanuele e la regina, perfino Hitler, evocato in una telefonata e Sandro Pertini, partigiano, che gioca a carte come sull’aereo dopo la vittoria dei Mondiali dell’82. Sono macchiette meccaniche piuttosto improbabili. Anche l’arrivo ex abrupto di Renatino De Pedis e la sua Banda della Magliana è inutilmente spiazzante: avevano un ruolo nei due film precedenti, ma in questa ambientazione appaiono fuori luogo. Del resto associare brani musicali diversissimi come Grazie Roma di Venditti e La libertà è partecipazione di Gaber, rivela una volontà onnivora di ingerire e rielaborare temi e materiali troppo eterogenei, con il risultato di perdere identità e accontentarsi di cercare un divertimento troppo a buon mercato.

Giovanni Capetta

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