La Terra ha subito un’invasione aliena. A distanza di nove anni dal primo contatto, gli extraterrestri hanno creato un governo fantoccio che permette loro di sfruttare le risorse del pianeta in cambio di «armonia, pace e unità». Ma il divario tra ricchi e poveri è aumentato a dismisura e a Chicago, come nel resto del mondo, chiunque provi a ribellarsi va incontro a una repressione dura e spietata. Gabriel lo sa bene: dopo aver perso i genitori durante la prima invasione, anche suo fratello Rafe è morto insieme ad altri ribelli nel tentativo di colpire l’organizzazione aliena al cuore. Nonostante ciò, è deciso a tentare una fuga al di là del lago, dove pare regni l’anarchia. A tenerlo sott’occhio, però, c’è il detective Mulligan – un vecchio amico di suo padre ora in forze nella polizia sottomessa al potere alieno – che vuole tenerlo fuori dai guai. Ma sono i guai a venire a cercare Gabriel, che scopre che c’è chi è pronto ad accendere la miccia per scatenare una nuova guerra per la libertà…
Tra film di supereroi, prequel e sequel infiniti di titoli di successo e live-action dell’intera produzione disneyana, Captive State emerge dal mucchio con una sceneggiatura originale, che non ha alle spalle alcun fenomeno editoriale, ma che è stata scritta a due mani dal regista e da sua moglie.
Il concept è interessante, anche perché offre un punto di vista poco esplorato nel ventaglio dei film sugli alieni: la storia inizia quasi in medias res, dell’invasione aliena vediamo solo poche immagini che servono allo spettatore per comprendere il contesto in cui si muovono i personaggi. Il film, infatti, si concentra sulla nuova realtà venuta a crearsi dopo la conquista della Terra da parte degli extraterrestri. Che ne è dell’umanità? Come si convive con un oppressore di un altro pianeta? Come cambiano le logiche di potere? A tutte queste domande, gli sceneggiatori cercano di dare una risposta che finisce per dipingere un quadro fantascientifico ma con delle sfumature estremamente realistiche.
Funziona meno, purtroppo, la gestione dei protagonisti. Lo spettatore segue le vicende di Gabriel senza mai realmente affezionarsi al personaggio, poiché questi non ha un vero e proprio arco di trasformazione: sostanzialmente rimane lo stesso dall’inizio alla fine del film. Il medesimo discorso vale per suo fratello Rafe o per il detective Mulligan, che è l’unico a presentare delle sfumature caratteriali interessanti nel corso della storia.
Quello che emerge, dunque, è una maggiore attenzione allo sviluppo del plot e alla creazione di un efficace colpo di scena nel finale piuttosto che ai personaggi. La struttura stessa della trama, comunque, non è priva di limiti: fin dalle prime battute il film promette una rivoluzione che, tuttavia, ha un innesco molto lento e che va a discapito della tensione narrativa.
Captive State, in sostanza, appare come un tentativo riuscito solo in parte, ma che ha il pregio di aver provato a portare sul grande schermo un film di genere che non sappia di “già visto”.
Scegliere un film 2019
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