Nel 2049, tremt’anni dopo gli eventi narrati in Blade Runner, i replicanti Nexus 8 sono stati eliminati, gettando l’umanità, ormai dipendente dalle macchine, in una profonda crisi. L’industriale Wallace inizia quindi a produrre replicanti perfezionati e più sicuri, base di una società asettica e perfettamente organizzata. Uno dei nuovi replicanti, l’agente K, è incaricato di trovare i pochi Nexus 8 fuggiti all’eliminazione e distruggerli. Ma proprio durante una di queste operazioni il replicante si imbatte in un ritrovamento che mette in crisi tutto quello che sapeva sul suo mondo e sulla sua identità.
La Los Angels decadente e disumanizzata dipinta da Ridley Scott nel 1982 in Blade Runner è iscritta profondamente non solo nella storia del cinema ma anche nell’immaginario collettivo, come una premonizione poetica e allucinatoria, un incubo che inquieta e commuove. Pensare a un sequel per un film così complesso, fatto di atmosfere più che di trama e personaggi, è stata sicuramente un’operazione rischiosa, affrontata da Villeneuve con profondo ossequio verso l’opera di partenza. Anche in Blade Runner 2049 è la cifra estetica e cromatica e dominare il racconto, affermandosi nella sua potenza immaginifica.
Villeneuve dipinge, grazie all’apporto fondamentale del direttore della fotografia Roger Deakins, il quadro rarefatto di un deserto denso di disperazione e nostalgia per un’umanità perduta. Nelle macerie del passato, dove Deckard ( un Harrison Ford ruvido e dolce, volto di un rimpianto c’era una volta) conduce un’esistenza da esule, l’occhio cinematografico investe di luce ogni oggetto decaduto, quasi fosse il prezioso tesoro salvato da un naufragio.
I personaggi e le svolte narrative sono gestiti con meno abilità, anche se l’agente K, eroe innocente impegnato in una struggente ricerca identitaria (interpretata con forza poetica da Ryan Gosling), sa creare un istintivo legame empatico con lo spettatore fondato sulla mai logora domanda: “chi sono veramente?”. Il suo itinerario, tracciato nel solco del classico viaggio dell’eroe, dà direzione a una narrazione altrimenti eccessivamente disarticolata.
Se nel film precedente la domanda madre della fantascienza, che potremmo riassumere con “cosa fa di un uomo un uomo?”, catalizzava il materiale narrativo, in Blade Runner 2049 l’esplodere caotico degli interrogativi rischia di minare la coesione del film. Il valore della memoria, la natura dell’amore, il senso della dignità e della lotta: tutti questi frammenti tematici possono in fondo incastonarsi in uno scheletro più essenziale costituito dalla grande domande che anima la nuova fantascienza nell’epoca virtuale: cos’è reale e cosa non lo è?
E così, oltre le macchine, oltre gli alieni, oltre qualsiasi minaccia esterna, la fantascienza giunge al cuore filosofico dell’umano, la domanda ultima sulla consistenza della realtà.
Anche per questo, oltre che per la cura estetica e l’uso singolare e mai gratuito della dilatazione temporale, Blade Runner 2049 è un’interessante ibridazione tra film mainstream e film d’autore che, pur con un po’ di freddezza e qualche carenza narrativa, riesce a dare vita a un mondo credibile dove, nella desertificazione più totale, pochi eroi credono ancora nell’esistenza di qualcosa per cui combattere.
Scegliere un film 2018
Tag: 4 stelle, Azione, Drammatico, Fantascienza, Film da Oscar, Noir, Plauso della critica, Thriller