Amy Winehouse è una ragazza di Londra. I genitori sono separati, ma il rapporto col padre Mitchell è saldo e l’affettuosa nonna Cynthia le fa da confidente e modello. Amy è tuttavia ingovernabile: la sua istintività la rende ora sfrontata, rude e aggressiva, ora esuberante e scanzonata. Il secondo lato è quel che ammalia il pubblico dei suoi primi brani, frutto di una personalissima cultura musicale. Ma una pungente esperienza d’amore e un’amara perdita ne esasperano il tumultuoso retroterra di gioventù e trasformano la sua musica nel diario di un lutto: a questo prezzo viene pagato il travolgente successo dell’album Back to Black. La straziante relazione con l’amato Blake Fielder-Civil sgretolerà il resto.
Raccontare – e ancor più decifrare – Amy Winehouse (1983-2011) è un’impresa: tanto peculiari erano la sua voce e il suo carisma musicale, quanto terrificante sapeva essere la sua autodistruttività. In lei, il proverbiale connubio di genio e sregolatezza raggiunge l’estremo: da un lato, un’artista ventenne già sorprendentemente matura; dall’altro, una giovane interiormente stremata e (pubblicamente) consumata nel corpo. Back to Black tenta di risolvere il puzzle, a suo modo intrigante, della sua identità e sofferenza, senza addentrarsi in meandri psicologici troppo sottili o sinistri: ma, più che tralasciare i dettagli, sembra omettere l’essenziale.
Nel primo brano che la udiamo comporre, Amy canta il suo ineluttabile «destino freudiano»: l’essere ostile a sua madre per conquistarsi un padre che la ragazza confessa di cercare in ogni uomo che incontra, schiava di un richiamo irresistibile, che la spinge ogni volta tra le braccia del candidato sbagliato. Sbagliato come il tossicodipendente Blake, la relazione col quale, vero architrave della storia, è un reciproco alimentare l’uno la fragilità dell’altra, perlopiù a suon di stupefacenti.
Ecco una prima zona opaca: qual è la causa e quale la conseguenza? È la poco giudiziosa attrazione di Amy per gli uomini a condurla ad un’autoinflitta rovina? O la sua impulsività tradisce da sempre l’ansia di sabotarsi, ben prima di riverberarsi nella sua relazione? Difatti, la prima parte del film dice di un guazzabuglio più vasto e profondo della sua malsana vita di coppia. Guazzabuglio tuttavia poco motivato, dato che della giovinezza di Amy si evidenzia il bene e si tralasciano le ombre: a cosa dobbiamo il suo maltrattarsi se, in fondo, è benvoluta? Forse ha ricevuto l’affetto, ma non l’educazione? Per questo è una mina vagante (che ha scoperto la droga ben prima di incontrare Blake)? E il «destino freudiano» con cui Amy tenta di spiegarsi a sé stessa può dar ragione intera del suo vissuto?
Il film sembra inoltre indeciso se chiamare o meno in causa altre pagine della sua dolente biografia, come la bulimia e l’autolesionismo (praticato in coppia con Blake). Così come non è chiaro se l’assoluta spontaneità della cantante sia considerato un sintomo, in parte, di irresponsabile sregolatezza o una pura testimonianza di libertà. Lo stesso focus sulla sua dipendenza da Blake per metà appare un universale monito a non finire intrappolati in rapporti che fanno sfiorire, per l’altra una professione di femminismo: ma Amy è femminista? Prima lo sembra. Poi ritratta. Poi dice di aver negato per scherzo: non è così semplice distinguere quando l’ironica protagonista parla sul serio e quando no. Ma quali che fossero le idee, confuse o meno, della vera Winehouse, Back to Black che giudizio ha su di lei?
Detto questo, il film si lascia guardare, forse più per merito della musica e dell’interpretazione di Marisa Abela, chiamata nientemeno che ad imitare l’inimitabile. Non è tuttavia escluso che Back to Black possa aggiungere un tassello ad un enigma che ha già fatto visita al cinema – come nel precedente documentario Amy (2015) – e che promette di tornare a incantare di nuovo: chi è questa voce che sembra provenire da regioni remote? Quale struggente infelicità se l’è portata via a 27 anni? Chi era Amy Winehouse?
Marco Maderna
Tag: 3 stelle, Biografico, Drammatico, Musicale