Anora/Ani, si guadagna da vivere come spogliarellista in un night di Manhattan. È l’unica che parla la sua lingua e così le viene presentato Vanja, l’infantile rampollo in vacanza di una ricchissima famiglia russa. Offrendole un enorme compenso, il ragazzo pretende che Ani sia a sua completa disposizione per una settimana. Con alcuni amici si spostano a Las Vegas e qui, intontito da libido, alcol, droga, Vanja convince Ani a sposarlo in una cappella per matrimoni veloci, con la speranza di diventare cittadino americano e non dover tornare in patria. Quando i tre scagnozzi armeni, che avevano il compito di controllare il ragazzo, scoprono l’accaduto, cercano, con modi tutt’altro che ortodossi, di risolvere il guaio prima che i genitori di Vanja, infuriati, arrivino dalla Russia, per annullare tutto. Anora cerca in ogni modo di tenere vivo il suo sogno, ma è sola contro tutti o quasi…
Anora vende il suo corpo a uomini frustrati nelle notti di un locale di New York. Quando Vanja la accoglie nella sua lussuosa villa con vista sul fiume Hudson, capisce che ha agganciato qualcuno che può cambiarle la vita. Lei sa come far girare la testa agli uomini, ancor più di quel ragazzo immaturo che passa dal sesso ai videogiochi senza quasi capirne la differenza. Quando, però, lui le chiede di sposarlo, s’illude che anche per lei esista la possibilità di conoscere l’amore vero e accetta di divenire sua moglie. Lo spettatore immagina una novella Pretty Woman, ma non ha il tempo di goderne, perché la realtà si mostra con un disincanto violento. Vanja fugge dai suoi controllori, dai genitori, da Ani, da sé stesso e fino alla fine si dimostra incapace di qualunque responsabilità, nonostante Anora lo scongiuri di dimostrarle di essere un uomo adulto. Un giudizio spietato quello su di lui che lo relega a comprimario in tutti i sensi. Anora lotta fisicamente con gli impacciati guardiaspalle del marito, si difende in Tribunale dicendo di non voler annullare il matrimonio; cerca un dialogo con la spietata madre di Vanja, ma è tutto inutile: la ragazza è la vittima di una realtà spietata in cui vittime sono un po’ tutti, inseguitori compresi, perché a comandare sono soltanto i soldi di una famiglia cinica e senza valori.
Solo nel finale, ad accogliere il pianto catartico della protagonista, affiora la silente e impacciata umanità di Igor, uno dei tre “guardiani” che riesce a compatire Anora e a guardarla (appunto) nella sua dignitosa fragilità di donna.
Vincitore della Palma d’Oro a Cannes, il regista e sceneggiatore Sean Baker riscuote apprezzamento della critica per un’opera che ha nella commistione dei generi e nella recitazione i suoi punti di forza. Prima una rom-com in salsa piccante – un po’ insistita la dimensione erotica – poi una commedia vera e propria, fatta di dialoghi e situazioni esilaranti con gli improbabili ed imbranati “cattivi” (tre bravi caratteristi), nel finale un melò drammatico che invita alla commozione.
Anora per i suoi accenti peculiari sarebbe da godersi in lingua originale e si regge per buona parte sulle recitazioni di tutti gli attori e in particolare di Mikey Madison, decisamente convincente. Il racconto, però, stenta a descrivere anche per il personaggio principale un arco compiuto. Anora non matura una consapevolezza nuova alla luce della triste vicenda che l’ha vista vittima, tanto che fino all’ultimo manifesta gratitudine a Igor offrendogli il suo corpo a prescindere da un percorso di reale conoscenza ed amore.
Per più di due ore lo spettatore è coinvolto da un cineasta che dimostra di aver raggiunto maturità sia nella scrittura sia nell’uso della macchina da presa, ma all’arrivo dei titoli di coda si resta con l’amaro in bocca per il desiderio insoddisfatto di una mancata redenzione.
Giovanni M. Capetta
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