Seymour Levov, detto lo Svedese, sembra essere la perfetta incarnazione del sogno americano: campione di football della scuola, reduce di guerra, erede della fiorente fabbrica di famiglia, sposa la ragazza che ama, una ex miss New Jersey, e si trasferisce con lei nella parte più bucolica e ricca dello Stato. Un giorno, però, la figlia adolescente si ribella fino a essere coinvolta in un atto terroristico e il suo mondo perfetto inizia a crollare…
Per il suo debutto alla regia lo scozzese Ewan McGregor sceglie l’impegnativo compito di adattare un classico della letteratura del Ventesimo Secolo, il romanzo premio Pulitzer di Philip Roth, un’opera complessa che questa trasposizione molto classica riesce a rendere solo in parte.
McGregor si ritaglia la parte del protagonista, Seymour Levov, soprannominato “lo Svedese” perché a dispetto della sua origine ebraica (orgogliosamente rivendicata dal padre, proprietario di una fabbrica di guanti, in una delle prime scene del film) ha un aspetto decisamente “ariano”, da vero figlio dell’american dream, un destino che almeno nella prima parte della vita sembra realizzare perfettamente.
A fronte di un testo di partenza complesso, il film si concentra sulla dimensione familiare dei Levov, inizialmente idilliaca: una fabbrica funzionante e dal volto umano (la maggior parte degli affezionati dipendenti sono afro-americani), una bella casa in campagna, due genitori affettuosi e una graziosa figlia il cui unico difetto è una leggera balbuzie.
Arriva il Sessantotto e arriva l’adolescenza della dolce Merry e in un secondo la piccola (che pure aveva dato i segni di un affetto lievemente morboso nei confronti del padre) si trasforma nella teenager incubo di qualunque genitore. Nei suoi occhi imbevuti dell’ideologia del tempo – che passa agevolmente dal pacifismo al marxismo, al sostegno al potere nero (che suona lievemente comico sulla bocca di questa biondissima borghese) – la figura paterna, a dispetto della sua bonarietà, si trasforma nel simbolo di un sistema marcio e degno di essere distrutto.
La prospettiva, per una scelta più o meno consapevole, resta comunque quella dei genitori sconcertati e progressivamente annichiliti dall’aggressività della figlia prima e dalla sua scomparsa poi. Del resto né la psicologa progressista né le compagne di lotta di Merry fanno una bella figura, ma sembrano figurine capaci solo di ripetere slogan anche contro la realtà dei fatti.
Il coinvolgimento di Merry nell’esplosione del locale ufficio postale (che fa morire l’ignaro e incolpevole impiegato) è l’inizio di una discesa agli inferi che distruggerà anche il rapporto tra i coniugi, i quali affrontano una sorta di “lutto bianco” in modi diametralmente opposti.
Il ritratto della famiglia borghese che ne esce (e che in un certo senso dovrebbe essere emblematico) è devastante anche se simpatetico (se non altro grazie ad un intenso protagonista), ma rischia la semplificazione eccessiva e non riesce, quando forse potrebbe, ad agganciarsi in modo davvero convincente all’oggi, guardando all’attualità di tanti altri giovani conquistati da ideologie che i loro padri non riescono a comprendere.
Chi ha letto il romanzo di Roth farà probabilmente più fatica ad apprezzare un’opera che di necessità lascia fuori o sfiora appena alcuni dei suoi temi, non ultimo il disagio e il “senso di colpa” dell’ebreo “ariano” Levov, condannato dal suo aspetto a trascendere la sua origine, ma ad essa inevitabilmente riportato.
Il risultato è un film di mestiere ma forse non indimenticabile, che riesce a coinvolgere solo a tratti e soprattutto quando tocca le corde più profonde delle dinamiche affettive, più che quando tenta la via di una riflessione politica.
Laura Cotta Ramosino
Tag: 3 stelle, adattamento da romanzo, Drammatico