E’ il 1961 quando Robert Zimmerman, in arte (e poi anche sui documenti) Bob Dylan, arriva a New York in autostop, con la chitarra e gli occhiali da sole, in cerca di Woody Guthrie, un musicista folk gravemente malato di cui sogna di ricalcare le orme, contro il sistema e contro corrente. Nella Grande Mela il giovane cantautore inizia il suo percorso artistico dopo aver conosciuto anche Pete Seeger e Joan Baez, trampolino di lancio per un’ascesa inarrestabile verso il successo che sembra poter avere un solo ostacolo: lui stesso.
Come da pronostico, se c’era bisogno di conferma, è proprio Bob Dylan il “perfetto sconosciuto” del titolo (cioè della canzone Like a Rolling Stone, riservata per il finale) un cavaliere con macchia ma senza passato, ingrato e un po’ arrogante, che si aggira per le strade newyorchesi e americane a bordo della sua Triumph, romantico destriero bicilindrico, e nascosto dietro la maschera di un paio di occhiali scuri come un vero super eroe, in cerca di ispirazione per le sue canzoni con cui vuole salvare il mondo. Nonostante il talento fulgido ed i nobili propositi del protagonista, forse nemmeno lui sa chi è ma in compenso sa cosa non è: quello che “loro” (loro chi??) si aspettano da lui.
Giocando su questo conflitto interiore, sornione e polemico, il mistero sul suo passato viene costruito e poi preservato fino alla fine, con la verità ammantata di candide bugie, conferendo un alone di epicità al personaggio e alla vicenda, licenza poetica per raccontare il poeta e la storia abbastanza vera del più grande cantautore americano (tratta dalla biografia Dylan Goes Electric! firmata da Elijah Wald) di cui rimangono intatte, tra le altre cose, l’allergia per la mondanità e il triangolo amoroso con le sue muse. Due donne molto diverse (ad una delle quali è stato cambiato il nome, l’altra è Joan Baez) rappresentanti ideali di due aspetti complementari dello stesso protagonista, sia ribelle che bravo ragazzo, rock star ma un po’ boyscout, che raccontano il tema dell’identità, unico vero centro narrativo del film.
Decisamente meno a fuoco è invece il dilemma sul purismo delle scelte musicali (distorsore sì o distorsore no?) in scena al Newport Folk Festival, che inizialmente lo consacra e poi gli presenta il conto, pretesto un po’ fiacco ma comunque strutturalmente funzionale per costruire la progressione che porta al salto di qualità – ma è davvero un passo in avanti? – fatto dal protagonista nel finale del film.
Qualcuno potrebbe dire, esagerando, che è la musica la vera protagonista del film, diretto dallo stesso regista di Walk The Line – Quando l’amore brucia l’anima, il biopic su Johnny Cash (che ha un ruolo di tutto rispetto anche qui) e infarcito da cima a fondo di canzoni (non solo di Dylan) che giustificano ampiamente il considerevole minutaggio e rendono godibile il tutto, anche grazie alla perfetta sincronia tra i testi dei brani e quello che accade nella storia, spiegazione emotiva di ciò che non può essere inquadrato (il cuore dei personaggi), come nel più classico dei musical.
Concludendo, A Complete Unknown è un film fortemente americano e newyorchese che dietro alla disputa conclusiva sui generi musicali, utile più che altro per suggellare la caratterizzazione dei personaggi e del mondo raccontato, nasconde in fin dei conti un vuoto da riempire e l’angoscia che scaturisce dal dramma intimo del protagonista, in cerca di se stesso e di nemici da combattere: l’aspetto più interessante di tutto il film.
Gabriele Cheli
Tag: 4 stelle, Biografico, Drammatico, Musicale