Daniel è un celerino romano, reparto antisommossa, ma è anche l’unico poliziotto di origine africana della sua squadra. Aspetta il primo figlio dalla sua compagna e considera i suoi colleghi come una specie di famiglia acquisita. Quello che, però, i colleghi non sanno è che Daniel una madre e un fratello ce li ha e risiedono in un palazzo occupato che il comune sta cercando da tempo di sgomberare. Suo fratello Patrick, poi, è in prima linea nel difendere i diritti delle famiglie che convivono pacificamente nel palazzo e che, negli anni, hanno di fatto creato un sistema di autogestione efficace. Mentre le trattative per una ricollocazione degli occupanti si complicano e l’ipotesi di uno sgombero forzato si fa sempre più concreta, Daniel è preso tra due fuochi: l’affetto per la propria famiglia e il senso di appartenenza alla squadra lo metteranno di fronte a una scelta impossibile…
Il legionario segna il debutto alla regia del giovane Hleb Papou, classe 1991 e di origini bielorusse, che con questa opera prima è salito agli onori della cronaca aggiudicandosi anche la vittoria come “miglior regista emergente” alla settantaquattresima edizione del Festival di Locarno.
Papou sviluppa il film a partire dal cortometraggio con cui si è diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e, dunque, racconta al grande pubblico una storia che conosce bene. Una storia semplice e lineare che, a differenza di altri titoli a tema discriminazione, disuguaglianza sociale ecc. non cade nell’autocompiacimento e riesce (a parte qualche piccolo scivolone) a evitare gli stereotipi.
È chiaro che, trattandosi di un esordio, i limiti ci sono e consistono soprattutto nel mancato sviluppo di alcuni spunti narrativi interessanti – come il rapporto tra Daniel e la madre, per esempio – e di alcuni profili psicologici che avrebbero potuto regalarci una maggiore complessità. E va detto che non siamo di fronte a un concept eccezionalmente originale, dato che temi e dinamiche del film ricordano in parte titoli come Mio fratello è figlio unico o ACAB.
C’è, però, un fattore determinante che fa dimenticare qualsiasi debolezza riscontrabile nel racconto, ed è la sincerità con cui i tre sceneggiatori hanno saputo tratteggiare i due fratelli e il mondo che li circonda. Daniel e Patrick non sono perfetti, nessuno dei due può rientrare nella semplicistica categoria dei “buoni o cattivi”. Entrambi sbagliano come padri, come colleghi, come figli e come fratelli; ma proprio per questo il conflitto che li vede contrapporsi su opposte barricate è interessante, perché mette in scena una verità dei rapporti famigliari che non è affatto scontata.
Il pubblico è costantemente portato, anche grazie alla buona performance degli attori, a parteggiare per Daniel, e allo stesso tempo per Patrick, perché riconosce come profondamente umani i desideri e le preoccupazioni che li spingono a combattere per la propria parte. A tutto ciò, si aggiunge, poi, una cura nella scelta delle location (il film è stato in parte girato in un edificio della capitale realmente occupato) che rende l’ambientazione estremamente credibile e facilita il coinvolgimento emotivo dello spettatore.
A fronte di questi elementi, non stupisce che Il legionario sia riuscito a ottenere un notevole successo di critica, nonostante una distribuzione nelle sale quantomeno “zoppicante”. La speranza, dunque, è che per il regista Hleb Papou e i suoi colleghi sceneggiatori questa sia soltanto la prima di molte storie.
La redazione
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