Nel mondo “reale” Thomas Anderson è uno sviluppatore di software, nonché autore della trilogia di videogiochi di grande successo “Matrix”. Mentre lavora a un’idea per il nuovo capitolo della saga, Thomas comincia a essere ossessionato da alcune strane visioni e da una donna, Tiffany, che incontra spesso in un bar e che assomiglia moltissimo a Trinity, l’eroina del suo videogame. Nonostante sia sempre più consapevole che esiste uno scollamento tra la realtà in cui vive e i sogni (o ricordi?) che lo tormentano, Thomas non riesce a metterlo completamente a fuoco, anche a causa delle pillole blu prescrittegli dal suo terapeuta allo scopo di eliminare queste apparenti allucinazioni. Ma quando smette di prendere le pillole e una coppia di bizzarri personaggi irrompe nella sua vita con alcune sconcertanti rivelazioni, Thomas inizia a prendere coscienza che niente di ciò che lo circonda è come appare. Ecco allora che i suoi ricordi come Neo riemergono in tutta la loro potenza, spingendolo a rimettere piede in Matrix e a fare di tutto pur di salvare Trinity, rimasta prigioniera nella città delle macchine…
A diciotto anni di distanza dall’uscita al cinema dell’ultimo capitolo della trilogia originaria (Matrix Revolutions), il franchise creato dai fratelli Wachowski è approdato al cinema con un sequel, questa volta diretto e sceneggiato soltanto da Lana (precedentemente Larry). Matrix Resurrections è un film autoriflessivo e metanarrativo, che torna a giocare con i concetti cardine della trilogia (realtà, sogno, illusione, verità, menzogna) tentando di renderli attuali anche per il pubblico di oggi senza scontentare, al contempo, i fan di lunga data. Per farlo, il film sceglie una doppia strada: da una parte, quella dell’ironia, specie per quanto riguarda la cornice narrativa ambientata nel mondo “reale” (in cui Thomas, aka Neo, viene trasformato nell’autore di un videogioco ispirato al suo passato e prodotto – guarda caso – proprio dalla Warner Brothers); dall’altra, invece, quella della nostalgia. Matrix Resurrections, infatti, è infarcito di rimandi alla serie originaria, tra cui simboli (la pillola rossa e la pillola blu), scene topiche (basti pensare ai combattimenti di kung-fu di Neo) e personaggi (alcuni – come Neo, Trinity, Niobe, il Merovingio – interpretati dal cast originario, altri – come Morpheus, l’agente Smith, l’Oracolo – aggiornati e affidati a nuovi attori). Parallelamente, il film non lesina su tutti quegli elementi tipici di un blockbuster ad alto budget, tra cui effetti speciali, combattimenti epici e scene spettacolari, allo scopo di guadagnarsi una nuova fetta di pubblico tra ragazzini e adolescenti che potrebbero non aver visto la saga originaria.
Matrix Revolutions è un film che funziona, soprattutto se visto su un maxischermo e se si è in cerca di un intrattenimento leggero e visivamente appagante. Ciò nonostante, paga lo scotto di una lunghezza forse eccessiva e di una sovrabbondanza di elementi che non trovano il giusto spazio in scena (uno tra tutti, la brevissima parentesi ambientata nella nuova città della Resistenza, in cui uomini e macchine disertrici convivono pacificamente). Inoltre, tutto quello che ai tempi dell’uscita della saga originaria rappresentava una novità e che contribuì a fare di Matrix un cult (il doppio livello tra realtà e immaginazione, la lotta tra esseri umani e macchine…), pur risultando ancora attuale, appare oggi ampiamente sdoganato da un’ampia lista di film e serie tv che mettono al centro proprio questi elementi (basti pensare, ad esempio, alle analogie tra la struttura a scatole cinesi di Matrix e l’Inception di Nolan). Quello che salva il sequel e lo rende, in qualche modo, memorabile, è il fatto di aver salvaguardato quello che era il cuore caldo della trilogia originaria, ovvero la storia d’amore tra Neo e Trinity, che qui torna prepotentemente alla ribalta e tiene insieme una trama a volte un po’ troppo dispersiva.
Cassandra Albani
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