Roma, 1945. Matilde è una giovane artista circense di un gruppo di emarginati con talenti sovrannaturali. Tuttavia la guerra incombe; presto Matilde e i suoi amici, guidati dall’ebreo Israel, decidono di mettere assieme i soldi e partire per l’America. Purtroppo Israel viene catturato dai nazisti. Il gruppo si divide, mentre Matilde insiste a voler ritrovare Israel. Tuttavia l’eccentrico artista tedesco Franz, munito di poteri di chiaroveggenza, è convinto che Matilde e i suoi amici saranno la chiave per vincere la guerra per il Führer. E così darà loro la caccia…
L’ossessione di Hitler per l’occulto ha nutrito in più occasioni l’immaginario di una guerra sovrannaturale contro l’impero nazista. Dall’Arca perduta e il Graal di Indiana Jones, al Teschio Rosso di Captain America, fino alle origini di Hellboy, i supercattivi con i loro super progetti di conquista hanno risvegliato la necessità di super eroi che li sapessero sconfiggere.
Dopo il successo di Lo chiamavano Jeeg Robot, anche Gabriele Mainetti decide di fare un tuffo di ottant’anni nel passato, e raccontare una storia di anti(super)eroi nell’Italia occupata.
Purtroppo Freaks Out non riesce ad avere la linearità che Mainetti aveva saputo dare al suo Jeeg Robot. Il racconto è affascinante e s’intreccia in maniera a tratti imprevedibili, ma non sempre per il meglio. Dopo un primo quarto di film che pone solide basi per un racconto avvincente, non appena la squadra si divide nel secondo atto la storia si inerpica in uno sviluppo discutibile. Gli eroi del racconto perdono la bussola, trascinati dagli eventi più che protagonisti delle loro scelte.
I personaggi sono ben scritti, il cattivo è affascinante, così anche la squadra dei partigiani, non mancano scene d’effetto e di sicuro il racconto non resta “fermo”. Ma in più di una occasione sembra che lo sceneggiatore abbia perso l’opportunità di raccontare qualcosa di più pertinente, come invece sa fare nel terzo atto.
Freaks Out infatti è emozionante e significativo nella sua conclusione. Da una parte c’è la domanda dell’appartenenza, di questo gruppo di emarginati incattiviti col mondo e se stessi, che però scoprono l’urgenza di essere una famiglia. Dall’altra c’è quello del “talento”; il gruppo di circensi vive il dramma di essere “freaks”, degli scherzi della natura. È liberante vederli invece abbracciare le loro qualità e soprattutto metterle a servizio di qualcosa di più grande di loro stessi. Prima su tutti proprio Matilde, terrorizzata dal suo “potere” che le ha distrutto l’infanzia, l’ha lasciata sola, e per il quale si sente “cattiva”. Eppure infine lo sprigiona, potente e bella, suscitando il timore e la meraviglia. In fondo Freaks Out è un film sullo scoprire se stessi e il bisogno di essere amati.
Ma il pregio più grande che va riconosciuto a Mainetti è il tentativo (riuscito) di produrre un altro film italiano di genere. Non è il primo e si spera non sarà l’ultimo: assieme a film come Veloce come il vento e Il primo re di Matteo Rovere, Smetto quando voglio di Sibilia, Pinocchio di Garrone, e il già citato Lo chiamavano Jeeg Robot, Freaks Out tenta di inserire un film di genere, nella fattispecie il supereroistico, nel vasto panorama di commedie, titoli minimalisti ed esistenziali nostrani.
Può trattarsi di tentativi più o meno riusciti, ma quello del genere non è soltanto un vezzo da cinefili. Fare film di genere, infatti significa saper parlare con il pubblico, promettere agli spettatori un certo tipo di racconto. E il “genere all’italiana” è l’arte di raccogliere quegli stilemi e saperli raccontare con uno spirito e un’impronta tutti nostri, come già Sergio Leone aveva saputo fare con il western.
Peccato solo che “all’italiana” sembri spesso voler dire anche un certo grado di meschinità, di violenza, di ossessione e perversione sessuale, e purtroppo Freaks Out non si sottrae a queste derive.
Speriamo che in futuro il genere all’italiana possa diventare il segno di una moralità “in più”, e non invece un di meno.
Alberto Bordin
Tag: 3 stelle, Avventura, Fantastico, Seconda Guerra Mondiale