Luca e Sara, una coppia di giovani sposini, invitano a casa due loro amici, uno dei quali è un convinto sostenitore della teoria dell’anima gemella. Per smentirla, i due raccontano le vicissitudini di altri quattro amici – Chiara, anestesista romantica e sognatrice; Giulia, una ricercatrice pragmatica e concreta; Dario, un avvocato donnaiolo e abituato alla bella vita; e Matteo, collaboratore di una casa editrice, dolce e un po’ impacciato – e di come abbiano provato ad abbinarli, ma senza dire chi, effettivamente, sia finito con chi. Il film è dunque tutto costituito da due linee narrative: nella prima, sono Chiara e Matteo e Giulia e Dario, che sulla carta risulterebbero più “compatibili”, a stare insieme, mentre nella seconda le coppie sono mescolate, secondo il principio che gli opposti si attraggono. Ma qual è la versione reale della storia?
Il film parte da una premessa interessante o, per meglio dire, da una domanda: esiste al mondo una sola e unica anima gemella per ciascuno di noi, oppure ci sono più metà della mela – magari un po’ ammaccate e che non combaciano perfettamente – ma che possono completarci?
Muovendosi da questo punto di partenza, il film diretto da Federici si configura come la classica commedia romantica, che cerca di sfruttare il meccanismo delle sliding doors (ossia piccoli elementi imprevedibili che però possono cambiare la vita delle persone in modo altrettanto imprevedibile) raccontandolo in una chiave diversa. La storia, infatti, si svolge su un doppio piano temporale: da una parte, la cornice narrativa (in cui Luca e Sara ricevono la coppia di amici a casa e danno inizio al racconto); dall’altra, invece, le due versioni della storia d’amore che coinvolge Chiara, Matteo, Giulia e Dario e che sembra richiamare un po’ i classici racconti a bivi. Le due linee narrative sono destinate a incontrarsi nel finale, in cui tutti e otto i personaggi si ritrovano finalmente a cena insieme.
Mescolando le due storie d’amore tra i quattro protagonisti (che, nella prima versione, sono abbinati in base al principio di somiglianza, mentre nella seconda in base a quello dell’attrazione tra gli opposti), il film ce li mostra mentre si incontrano, si conoscono, si frequentano, si innamorano. Il problema maggiore, però, è che – nonostante nelle due linee narrative i partner siano, per così dire, “mescolati” – il risultato finale non cambia. I macroeventi che caratterizzano le loro relazioni (il matrimonio, l’arrivo di un figlio, un trasferimento all’estero per lavoro, un tradimento) non variano, indipendentemente dalla persona con cui i protagonisti finiscono per stare. Sotto questo punto di vista, Quattro metà sembra sostenere un certo relativismo, senza però andare fino in fondo. Sembra quasi, anzi, che il sunto a cui il film voglia arrivare sia che il nostro destino è, in qualche modo, già scritto, ma può cambiare la persona con cui decidiamo di scriverlo.
Al di là che gli spettatori possano condividere o meno questa visione, il film perde propulsione proprio in quello che poteva essere il suo punto di forza: a dispetto della tesi enunciata e ribadita nella cornice (le relazioni che viviamo ci cambiano) i quattro protagonisti non vivono esperienze significativamente diverse a seconda del partner con cui stanno, ma rimangono fondamentalmente uguali a se stessi. E questo, al di là di una certa noia che potrebbe pervadere lo spettatore a vedere gli stessi fatti ripetuti con piccole sfumature (in una narrazione che non cresce e non si sviluppa, ma rimane fondamentalmente aneddotica), finisce per indebolire la premessa stessa della storia. Tanto che, alla fine, a qualcuno potrebbe non interessare nemmeno più capire chi, nella realtà, sta con chi.
Cassandra Albani
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