In una Parigi decadente e lambita dai bombardamenti della Grande Guerra, il livornese Amedeo Modigliani sopravvive cercando di vendere al meglio le sue opere. Gli eccentrici colleghi, Utrillo e Soutine, sono i suoi compagni di bevute, anch’essi artisti incompresi e maledetti. Nonostante gli incoraggiamenti dell’amante e modella Beatrice Hastings, incapace di far riconoscere il suo talento e più volte illuso dal suo curatore, Modì cerca di proporre le sue opere direttamente al famoso collezionista Gangnat, ma, di fronte al rifiuto di quest’ultimo, la disperazione prevale.
Johnny Depp, per la seconda volta dietro la macchina da presa, non realizza un biopic tradizionale, quanto piuttosto un intenso spaccato di pochi giorni dell’esistenza di Amedeo Modigliani, in cui chiaramente il cineasta rivede alcuni tratti della sua esperienza di attore ed artista. Marcata è la sofferenza, non solo fisica, del protagonista, già gravemente malato di tubercolosi. Egli si abbandona al vino e agli stupefacenti, è vittima di ancestrali incubi di morte; sfoga la sua frustrazione con risse e intemperanze e vive di stenti, senza riuscire a godere dell’occasionale relazione con Beatrice, la giornalista e critica, nonché musa che lo ispira e pure lo provoca nelle sue motivazioni. Modì non riesce a vendere i suoi quadri, considerati ingenui nel tratto e dallo sguardo triste sui corpi di modelle fuori dai canoni classici di bellezza, ma soprattutto non è accolto con il suo talento dal mondo dei critici e dei collezionisti. Con il suo spirito ribelle, piuttosto che svendere le sue opere, accettando i compromessi di un mercato che non lo comprende, preferisce distruggerle in un cupio dissolvi che è anche esistenziale.
Forse proprio per un eccesso di empatia del regista nei confronti del protagonista bohémien, bello e dannato, il film si carica di un’espressività eccessivamente sopra le righe. Tutta la confezione estetica sembra dettata da un desiderio smodato di colpire l’immaginario visivo dello spettatore, ma è come se dietro le pennellate impresse sulla tela non rimanesse sostanza, in un affastellarsi di elementi non ben distribuiti. Ad effetto, ma un po’ estemporanei, per esempio, i ripetuti incubi, con lugubri e neri uomini corvo e soldati zombie reduci dal fronte. L’ambientazione è quasi sempre notturna o in interni, a tratti quasi claustrofobica, ma non si capisce quanto ciò sia voluto o dovuto a necessità produttive; parallelamente una fotografia – forse nell’intento di riprodurre le tinte dei quadri di Modigliani – carica, ridondante, surreale. Inoltre la recitazione è anch’essa caricaturale, compresa quella di Riccardo Scamarcio (un po’ impacciato nel ridoppiarsi in italiano). Anche gli intermezzi di ricordi in bianco e nero, tributo eccentrico al cinema muto, risultano un po’ giustapposti e poco si coniugano con le cover di brani contemporanei in lingua inglese, che appaiono a questo punto fuori contesto.
Nel quadro di questa non particolarmente convincente commistione stilistica, si distingue la lunga sequenza dell’incontro fra Modì e il collezionista Gangnat. Sicuramente anche grazie al cameo di Al Pacino (coproduttore del film e da molti anni interessato a questo progetto) il dialogo messo in scena raggiunge un equilibrio ammirevole. La protervia del critico che fa valere sprezzante la sua auctoritas e il potere dei soldi si scontrano, ma non vincono (almeno in questo primo confronto) l’orgoglio di Modì che rivendica il valore senza prezzo del suo talento. Un piccolo pamphlet sulla libertà dell’arte che s’imprime nella memoria dopo la visione di un lungometraggio per il resto piuttosto evanescente.
Giovanni M. Capetta
Tag: 2 Stelle, Biografico, Commedia, Drammatico