Siamo a Vermiglio, piccolo paese sulle montagne del Trentino, alla fine della seconda guerra mondiale. I soldati stanno tornando a casa: il figlio del maestro del paese riesce a tornare, nonostante una ferita, grazie a un commilitone siciliano, Pietro, che rimane poi con tutta la numerosa famiglia del maestro. Di Pietro si innamora Lucia, la figlia maggiore del maestro Cesare: i due si sposano, ma le novità e le sorprese non sono finite…
Accolto con grande favore dalla critica italiana e internazionale alla sua presentazione al festival di Venezia, dove ha vinto il Leone d’Argento (Gran Premio della Giuria), e scelto dalla commissione ANICA per essere il candidato italiano all’Oscar, il lavoro della quarantottenne regista trentina ha ricordato a più di un recensore L’albero degli zoccoli, il film di Ermanno Olmi di quasi cinquant’anni precedente, che era un’ode alla vita semplice dei contadini della campagna bergamasca. Anche qui abbiamo una ricostruzione d’epoca molto attenta e partecipe, una recitazione sobria e molto efficace da parte di tutti gli attori (con prove di eccellenza della protagonista Martina Scrinzi, di Tommaso Ragno e anche della sorellina Flavia, Anna Thaler). Notevole la ricostruzione degli ambienti, l’uso efficace del dialetto, la capacità di valorizzare con grande precisione i dettagli, di narrare con grande delicatezza e in modo sommesso, senza ricorrere a scene madri, ma valorizzando gli sguardi e i silenzi. Sono molto belli, per esempio, i diversi dialoghi fra i bambini, a letto (due per letto, uno alla testa e uno ai piedi) alla sera prima di addormentarsi…
Qualcuno ha anche accostato il film, per il punto di vista nettamente femminile, a C’è ancora domani della Cortellesi. Anche qui – seppur in modo meno eclatante che nel film della Cortellesi – le donne sostanzialmente subiscono le decisioni di un padre padrone, che non le vessa come in C’è ancora domani, ma mantiene un dominio in qualche modo dispotico. Decide, per esempio, chi delle figlie potrà studiare, tratta dall’alto in basso la moglie, alla sua decima gravidanza, e il figlio, che osa contraddirlo di fronte al resto della famiglia…
Ma se la messa in scena e la delicatezza nel narrare è analoga all’Albero degli zoccoli, il punto di vista ideologico e morale è molto diverso: Vermiglio è un film con una lettura decisamente contemporanea e che guarda – in modo sottile, ma netto – al futuro di emancipazione delle donne. Analogamente ambiguo è il suo sguardo sulla fede, che in quella società era un qualcosa di comune e condiviso: non a caso la persona con un maggior afflato spirituale, Ada, è quella che ha maggiori problemi con la sua sessualità, con accenni di interessi lesbici; ed è proprio lei che – in modo un po’ paradossale – finirà per scegliere una vita in convento. E il padre, che compra dischi di musica classica per educare al bello, facendo fare sacrifici alla famiglia su beni di prima necessità, ha poi un cassetto chiuso a chiave dove tiene una raccolta di immagini pornografiche… Come a dire che ciascuno ha i propri panni sporchi da lavare e sotto una superficie linda e quieta giacciono segreti e contraddizioni.
Se quindi questo doveva essere – come afferma la regista – un omaggio al padre e alla vita e alla cultura del paese di cui egli era originario, lo sguardo non è sicuramente ingenuo e il punto di vista è passato attraverso i cambiamenti culturali degli ultimi anni. Chissà se lo ha fatto anche per fare contenti i selezionatori prima, e poi le giurie dei festival.
Lo sguardo di Olmi, da questo punto di vista, era proprio un’altra cosa.
Armando Fumagalli
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