Quando Minato inizia a comportarsi in modo strano (taglia capelli, perde una scarpa, ha un taglio vicino all’orecchio), sua madre Saori inizia a sospettare del nuovo maestro.
Se si dovesse tradurre alla lettera il titolo originale sarebbe Il Mostro perché così si definisce Minato, il bambino (protagonista) che, da quanto sembra dirgli a scuola il suo maestro, ha il cervello di un maiale.
Giustamente in Italia, il film si intitola L’innocenza perché è di innocenza e anche di presunta innocenza di cui questo meraviglioso film racconta.
La storia sembra semplice: Saori è una giovane madre vedova, lavora in una lavanderia in una città tranquilla, anche se un incendio, da poco, ha distrutto un grattacielo che ospita anche un “bar per adulti”.
Suo figlio Minato è tutto quello che ha. Vive con lui e di lui si accorge ogni volta che qualcosa è diverso dal solito: i capelli tagliati, una ferita intorno all’orecchio, la terra nella borraccia.
Ma quando Minato confessa di aver saputo dal suo insegnante che ha un cervello di maiale al posto della mente di un uomo, Saori pretende di sapere cosa è successo al figlio dalle stesse labbra del maestro.
La storia prosegue ma sarebbe ingiusto per lo spettatore raccontarla. Possiamo solo dire che la stessa storia sarà ogni volta più compresa quando diventa la storia mostrata, più che raccontata, dal punto di vista dell’insegnante e poi di Minato stesso.
Migliore sceneggiatura al Festival di Cannes 2023, L’innocenza è diretto dal regista giapponese, Kore’eda Hirokazu, conosciuto al grande pubblico per i suoi capolavori (come Father and Son, Un affare di famiglia e Little Sister) e che, per la prima volta, per la sceneggiatura si è affidato ad un autore, Yūji Sakamoto, che scrive più per la televisione che per il cinema.
E il film, che arriva dopo un anno e mezzo in Italia, è un piccolo gioiello dove ogni sfumatura, come nella vita, diventa importante e ogni dialogo necessario. Nessun personaggio è inutile e tutto, raccolto ogni punto di vista, acquista il suo senso, occupa il suo spazio e definisce il racconto: la verità, infatti, è una gemma da custodire e da non giudicare se si è in possesso di pochi elementi.
L’indolenza e il perbenismo della preside, il bullismo feroce dei ragazzini, la famiglia con le sue assenze, i suoi buchi, le sue urgenze, le reazioni istintive di un bambino che sta cercando di capire la sua identità, di tutto questo e di altro è pieno il film.
La ricerca dell’identità personale e il problema di capire i confini tra sintonia amicale e attrazione (omo)sessuale è uno dei temi che con delicatezza e volutamente viene raccontato (il film ha vinto a Cannes la Queer Palm).
La ricchezza de L’innocenza è difficile da racchiudere in una definizione perché la complessità della realtà e della verità che la racchiude è un bene difficile da raccontare in sole due ore di film e Kore-eda, forte della sceneggiatura di Sakamoto, ci riesce con la sua regia sempre aperta alla bellezza del mondo e dell’uomo.
Emanuela Genovese
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