Nella piccola Nazareth, Maria non è una ragazza come le altre. Non è disposta ad accettare le restrizioni che sono imposte alle donne del suo tempo, vorrebbe imparare a leggere e scrivere per abbeverarsi alle fonti del sapere universale da cui si sente irresistibilmente attratta. Per i suoi genitori, Gioacchino ed Anna, è, invece, solo importante che trovi marito e sono disposti a darla in sposa a Giuseppe, in cambio di pochi capi di bestiame. Ma Giuseppe non è un uomo qualunque e Maria ha già intuito che lui potrà essere la guida che sta cercando. Fra i due si instaura un tacito patto per un legame casto come può essere quello fra maestro e discepola, anche se, col passare del tempo all’affiatamento intellettuale subentra un’intesa sempre più intima. È a questo punto che irrompe la volontà di Dio attraverso l’annuncio dell’angelo. Maria accetta di portare in grembo Gesù, ma non trattiene tutti gli interrogativi che nascono dalla sua libertà così messa alla prova. Sarà la stessa fedeltà del suo sposo anche a questo disegno divino così imprevedibile a permettere che si compia la storia della Salvezza.
Le libertà interpretative rispetto al testo sacro di cui è colmo questo racconto dedicato a Maria di Nazareth sono tante e tali che è assolutamente indispensabile esplicitare quelle che evidentemente erano le intenzioni dell’autrice del romanzo a cui si ispira. Nel 1979 infatti, Barbara Alberti – che ha collaborato anche alla sceneggiatura – voleva chiaramente attribuire alla madre di Gesù alcune connotazioni tipiche delle istanze protofemministe di cui era sostenitrice. Ecco perché sono attribuiti alla protagonista dei tratti che, dal punto di vista storico e filologico, ci appaiono del tutto sopra le righe. E infatti, a quarant’anni di distanza dal clima in cui nasceva il testo originario, i contenuti ripresentati nel film faticano a trovare una facile accoglienza; si pensi, per esempio, all’incontro/scontro del tutto eccentrico fra Maria ed un Re Erode deplorevole e depravato in balia del suo delirio. La stessa durezza, ai limiti della violenza, con cui vengono dipinti i genitori di Maria – componenti di una cultura patriarcale vessatoria e oppressiva – risulta eccessiva come se forzosamente il racconto volesse incontrare il favore di quel pubblico ancora alla ricerca delle origini antiche della discriminazione nei confronti del genere femminile. In quest’ottica, se è vero che il presente esperimento si inserisce nel solco di tanti precedenti più o meno illustri – da L’ultima tentazione di Cristo (1988) di Martin Scorsese a I giardini dell’Eden del compianto Alessandro D’Alatri (1998) – il film in questione appare in un certo qual modo anacronistico.
Se si prescinde da quanto fin qui esposto rispetto alle radici concettuali del film, è da considerare che il regista ha saputo ben dirigere due attori di sicuro valore quali la sempre più convincente Benedetta Porcaroli e il solido e poliedrico Alessandro Gassman. Il loro attrarsi prima a distanza, poi nella complicità del patto stipulato e man mano in una confidenza anche affettuosa, si sviluppa grazie a recitazioni intense che sanno essere esplicite anche nei silenzi degli sguardi e non solo nell’eloquenza dei dialoghi. Felice anche la scelta scenografica dell’aspro entroterra sardo per rappresentare la Palestina dei tempi di Gesù. Non si può, invece, non giudicare in modo severo la rappresentazione a dir poco macchiettistica della figura angelica. Oggi come oggi limitarsi all’uso di un paio d’ali di cartapesta sotto una luce iridescente lascia a dir poco perplessi. Non si capisce, infatti, come tanto coraggio ed ardire interpretativo possa andare di pari passo con una così scarsa ricerca tecnica e fotografica atta a rispondere alle legittime attese del pubblico odierno.
Giovanni M. Capetta
Tag: 2 Stelle, Drammatico