Nell’Australia post-apocalittica della saga di Mad Max inizia la storia di Furiosa, che viene strappata da bambina dall’Eden in cui vive per crescere nell’inferno desertico della Fury Road, tra bande di superstiti e derelitti disposti a tutto per un po’ d’acqua e benzina. Nel cuore della ragazza, un solo obiettivo: la vendetta.
Quando in Mad Max: Fury Road, il quarto capitolo della saga, Furiosa è apparsa per la prima volta sulla strada di Max, il pubblico se ne innamorò al primo sguardo. E come biasimarlo: una Charlize Theron con i capelli rasati e il braccio meccanico alla guida di un camion blindato, in missione per salvare delle ragazze innocenti dalla violenza del tiranno Immortal Joe.
Dopo il successo al botteghino e, per la prima volta, agli occhi della critica (ben sei statuette agli Oscar del 2015), George Miller ha subito pensato a un prequel dedicato proprio a Furiosa, che ne raccontasse le origini e la furia da cui prende il nome.
Per farlo, aveva bisogno di un’attrice che reggesse il peso dell’eredità della Theron e di un kolossal a lei dedicato. Solo Anya Taylor-Joy è riuscita a convincerlo: da Regina degli Scacchi a Imperatrice Furiosa, la giovane attrice americana ha dimostrato la sua poliedricità con un’interpretazione semplicemente da urlo, dove a stupire in particolare è la sua espressività, in un film che la vede praticamente muta per la maggior parte del tempo.
Non bastasse l’interpretazione della Taylor-Joy, il film è impreziosito da un antagonista capace di tenerle testa e di incarnare al meglio lo spirito di Mad Max: un Chris Hemsworth per la prima volta nella parte del cattivo, che abbandona l’ascia di Thor per prendere le redini di un carro degno di Apollo, ma trainato da motociclette. Seppure la sua interpretazione cede il passo a quella della protagonista, Hemsworth si lascia odiare volentieri: questo deve fare un villain, e tanto basta.
Le prove degli altri attori, delle comparse e di tutti i reparti completano l’opera: Furiosa si incastona alla perfezione al gioiello di Fury Road, tra scene dal ritmo mozzafiato e una trama lineare che non viene distratta dalle esplosioni e gli inseguimenti che rimangono l’anima del film. Un film quindi perfetto per il suo target, ma chi non è appassionato di queste saghe d’azione potrebbe trovarlo troppo lungo e non così interessante (di fatto il film non ha brillato al box office, nonostante buone critiche e buone reazioni dei fan).
George Miller è il padre di Mad Max, per molti critici il cinema d’azione migliore di sempre, sin da quando la saga si chiamava Interceptor e protagonista ne era Mel Gibson.
Ma il regista australiano ha dimostrato la sua bravura anche in film dove il sangue e il rombo di motori non si sente mai: i due Babe e Happy Feet, che gli è valso l’Oscar al miglior film d’animazione.
Cosa accomuna una saga postapocalittica con un maialino parlante e dei pinguini ballerini? Sembra una barzelletta, ma la risposta è il ritmo che Miller riesce a imporre a ogni suo film, tenendoci incollati al grande schermo: sia per farci stare in ansia per le sorti di un suino, ballare al polo sud o correre a duecento all’ora in mezzo al deserto mentre suoniamo una chitarra elettrica.
Claudio F. Benedetti
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