Anni Sessanta. Il giovane ragioniere Walter Vismara lascia Vigevano per lavorare a Milano come contabile della ditta del cavalier Tosetto. Il cavaliere è un fanatico del calcio: ai suoi dipendenti è fatto obbligo di competere all’annuale partita Scapoli contro Ammogliati. Purtroppo, lo schivo Walter tanto è colto ed esperto di calcolo matematico, quanto totalmente digiuno di sport, lesto a fuggire tutto ciò che minaccia di implicarlo in prima persona. Ma, complice un proposito di rivalsa contro il bullo collega Gusperti, che gli contende le attenzioni della dolce Ada, Walter si convince a sottostare agli ordini di Tosetto, che lo vuole portiere della squadra Scapoli. Per riuscirci, il giovane impiegato ingaggia come allenatore l’improbabile Giorgio Cavazzoni, ex portiere caduto in disgrazia.
Tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Perrone, Zamora lascia la prima impressione di essere non una, ma due storie assieme: da un lato, Vismara che si allena per diventar portiere; dall’altro, Vismara alla conquista di Ada. Per fortuna, il rischio di raccontare due trame prive di nesso viene (in parte) scongiurato, dato che si tratta, in entrambi i casi, di dare una lezione a Gusperti. Ciononostante, la vicenda sembra far nascere due Walter diversi.
Il primo, erudito calcolatore che vive come fosse una persona fatta di solo pensiero, fa esperienza di una discesa in campo, di un coinvolgimento totale, che richiede non soltanto la mente, ma anche corpo e anima. E dove la palla, metafora della vita, non va fuggita, ma guardata negli occhi e acciuffata. Cosa che per il cerebrale Walter, abituato a non reagire e, anzi, a subire qualunque evento esterno (in primis la prepotenza di Gusperti), è una rivoluzione copernicana: farsi allenare da Cavazzoni significa predisporsi a cambiare da pavido micetto ad intrepida tigre. In questo, il film non potrebbe essere più chiaro: non è stando a bordocampo, a margine dell’esistenza, che si può trovar sé stessi. Chi non vuol perdersi, si getti nel centro. Il che potrebbe rivelarsi trasformativo per chiunque si sia sentito, almeno una volta, un imbranato Walter Vismara che sogna di tornare a ruggire.
Il secondo, corteggiatore alle prime armi, sembra invece spinto (al di là della necessità, anche in quest’altro genere di partita, di accettare e attraversare il rischio connaturato ad ogni vero «sì» alla vita) ad un’altra consapevolezza: il fatto che «siamo negli anni Sessanta». A giudicare dalle occasioni in cui è pronunciato, il ritornello vuol significare che l’amore può anche essere un gioco disimpegnato. Non che quanto Zamora ha da dire sull’argomento sia tutto qui: ma tanto al calcio si riconosce la possibilità di essere ben più che un passatempo, vale a dire un rito di iniziazione alla realtà, quanto i legami sentimentali, al contrario, sono passibili di ridursi a divertimento, goduto in nome di un principio astratto: «siamo negli anni Sessanta». Occorre che Walter si rimetta al passo coi tempi, dunque: senonché, chi questi tempi li faccia, con quale criterio decida qual è il passo da tenere e per quale motivo lo si debba per forza seguire, non è dato saperlo. Il calendario recita «1960» (1965): tanto basta perché Walter impari, quanto all’amore, ad essere meno moralista, serioso e retrò (giudizio, peraltro, inclemente) si faccia allegro. Il che, oltretutto, non ha nulla a che vedere col dramma del gattino in cerca di ardimento: e nonostante il film, grazie alla dettagliata analisi del suo protagonista, si sforzi di rintracciare una radice comune ai due problemi, il ragionamento stride.
C’è uno Zamora che narra di un uomo che esce dai propri pensieri per fare ingresso nel più ampio orizzonte dell’esistenza; e uno Zamora che narra del tuffo di quell’uomo negli «anni Sessanta», cioè della sua conversione proprio ad un pensiero, ad una pura categoria. Tanto l’uno tratta dello stringere amicizia con la realtà, invita cioè ad un’avventura, quanto l’altro apre la porta alla virtualità di un principio da applicare a sé stessi. Principio che, nei fatti, si traduce in generica spensieratezza, in particolare nelle relazioni.
Qual è dunque il vero Walter Vismara? Qual è l’uomo in lui sepolto? E cosa davvero gli occorre per non perdere vita?
Marco Maderna
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