Vent’anni di storia cinese, dalla metà degli anni Trenta alla metà dei Cinquanta, fanno da sfondo alle vicende del leggendario maestro di arti marziali Yip Man (1893-1972), il cui percorso umano e professionale s’intrecciò con quello del vecchio maestro Gong Boasen e di sua figlia Gong Er. Fulcro degli eventi è Foshan, città natale del protagonista e teatro scelto dal maestro più anziano per una cerimonia di pensionamento e per un passaggio di consegne. La Storia, intanto, fa il suo corso impetuoso: il nord e il sud della Cina sono vicini alla divisione quando, nel 1936, il Paese è invaso dal Giappone.
Dal maestro del melò cinese Wong Kar Wai (celebre per In the Mood for Love) un film che celebra la tradizione composita del Kung Fu, e di una delle sue figure leggendarie, quel Yip Man divenuto in estremo oriente un elemento stabile della cultura popolare (protagonista di due film e di una serie televisiva), anche per essere stato il mentore dell’altrettanto leggendario Bruce Lee: un uomo – così lo descrive il film – che ebbe la rettitudine come criterio fondante delle sue azioni e che, stagione dopo stagione, visse con malinconica consapevolezza il mutare delle tradizioni della sua Nazione e la resa della Cina agli umori della contemporaneità.
Anni di lavoro, tra la ricerca delle fonti e l’addestramento degli attori, per un kolossal delle emozioni in cui l’aspetto più importante è la descrizione dei rapporti tra i personaggi. La trama è complessa, alterna vicende private e avvenimenti epocali, in un avanti e indietro della linea temporale (con qualche ellissi di troppo, data anche da una lavorazione travagliata e forse dai tagli operati per la versione internazionale) che potrà depistare lo spettatore. Un movimento “avanti e indietro” che è fondamentale sia per il discorso, centrale all’interno della narrazione, dell’importanza del passato, delle tradizioni e della vita che, nonostante tutto, procede inesorabile andando ad abbracciare il destino; sia per una tecnica marziale che, tramandata di padre in figlia, sarà altrettanto cruciale per un importante combattimento in cui viene ristabilito l’onore di una famiglia senza venir meno a una solenne promessa difficilissima da mantenere.
Amore, onore, tradizione. Essere, conoscere, agire. Il film gioca su queste triadi consegnandoci figure che sembrano portare su di sé, e dentro il cuore, il peso di passioni struggenti perché inespresse e la visione di un mondo che sta cambiando in cui anche la Storia, quella con la S maiuscola, vive in appoggio del singolo uomo perso nel suo scorrere maestoso.
Un film non per tutti i gusti, che richiede uno sforzo allo spettatore per orientarsi in una struttura narrativa (che richiama, con citazioni esplicite anche della colonna sonora, l’epico C’era una volta in America di Sergio Leone) in cui i salti temporali non sono da meno di quelli degli attori impegnati in vorticosi duelli. Per chi non ha dimestichezza con questo genere di film e avrà la curiosità di accostarvisi, una bella sorpresa: scoprirà la maestria di un autore capace di far funzionare all’unisono ogni aspetto della macchina cinematografica per avvolgere lo spettatore in una calda atmosfera vellutata. In secondo luogo, scoprirà una zona della cinematografia mondiale in cui sopravvive ancora il senso del “classico”, con un corredo di valori imperituri e trasversali a ogni cultura, celebrati come in un vecchio western (rispetto delle tradizioni, senso dell’onore e della lealtà, apertura al perdono ma rifiuto categorico del male, legame tra generazioni), con la chicca di uno Stabat Mater in colonna sonora (non sappiamo in realtà quanto consapevole e meditata), nell’interpretazione del compositore italiano Stefano Lentini.
Scegliere un film 2014
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