Stella è una diciassettenne malata di fibrosi cistica e ricoverata in ospedale in attesa di un trapianto di polmoni. Allegra e ottimista di natura, si sforza di affrontare con leggerezza la sua malattia, tenendo anche un blog sull’argomento. Un giorno, in ospedale, incontra Will, un ragazzo affetto dalla sua stessa malattia, ma in una forma più grave, che sta tentando una terapia sperimentale e che ha fatto di un’ironia disillusa la sua arma contro il dolore. I due finiscono per innamorarsi, ma la malattia li costringe a stare ad almeno un metro di distanza l’uno dall’altra…
A un metro da te si inserisce all’interno del filone dei teen drama che affrontano il tema della malattia in età giovanile e che negli ultimi anni hanno ottenuto un notevole successo. Si tratta di un sottogenere inaugurato da Colpa delle stelle (2014) e poi proseguito con pellicole come Io prima di te (2016) e Noi siamo tutto (2017). Anche l’Italia ha avuto i suoi esempi: basti pensare al film Bianca come il latte, rossa come il sangue, tratto dal romanzo di Alessandro D’Avenia, e le tre stagioni della fiction campione di ascolti Braccialetti rossi, entrambi diretti dal regista Giacomo Campiotti.
Il successo di questi prodotti testimonia come le storie romantiche a sfondo tragico siano ancora in grado di conquistare una grossa fetta di pubblico, specie tra i giovanissimi. La malattia è l’ostacolo che ha sostituito le divisioni sociali e le faide familiari. In questo senso, Will e Stella sono due novelli Romeo e Giulietta (o Jack e Rose di Titanic), separati da un nemico invisibile (ma non per questo meno pericoloso) che li costringe a mantenersi ad almeno un metro di distanza (Five Feet Apart è il titolo originale).
Il film si fonda dunque su un meccanismo collaudato e ripropone tutti i topoi del genere: l’ospedale vissuto come una casa, le infermiere simpatiche e affettuose, le difficoltà dei genitori a sopportare la difficile situazione dei figli, la ribellione a un destino che pare già scritto…
La scelta dei due protagonisti è vincente. Haley Lu Richardson e Cole Sprouse (l’ex biondino della sitcom americana Zack e Cody al Grand Hotel) funzionano insieme proprio in virtù della loro diversità e complementarietà, fisica e caratteriale.
Si avverte, invece, la mancanza di una collocazione spazio-temporale precisa (quanto dura effettivamente la vicenda narrata? Una settimana, diversi mesi, un anno?) e di alcuni elementi fondamentali per dare credibilità al racconto (i genitori fanno la loro comparsa quasi esclusivamente a fine film, nonostante la gravità della malattia dei figli; non vediamo mai Stella e Will aprire un libro di scuola…). Dalla seconda metà in poi, inoltre, il film attinge a piene mani ad alcuni cliché (la morte dell’amico – simpatico e gay, personaggio tipico dei teen movie americani – la ribellione e la fuga dall’ospedale, la scena life or death al laghetto ghiacciato…), senza lasciare il giusto spazio per affrontarli in modo originale o, quantomeno, realistico. Stupisce anche l’assenza di una ricerca di senso che vada oltre il “qui e ora”. Nonostante, infatti, il film affronti tematiche molto forti, come la malattia e la morte, né i protagonisti né le loro famiglie sembrano interrogarsi sull’aldilà o cercare conforto nella fede o in una qualche dimensione spirituale. L’inserimento di un personaggio, anche secondario, portatore di tale punto di vista, avrebbe probabilmente garantito una maggiore profondità al film.
Il finale, come ci si potrebbe aspettare, non è un happy ending, ma va tuttavia apprezzato il tentativo di non scadere nella (per certi versi) facile scelta di mettere in scena la morte di uno dei due protagonisti, ma di fermarsi un attimo prima. Le lacrime scorrono lo stesso e il film coglie l’occasione per ribadire uno dei suoi temi: «Abbiamo bisogno del contatto con le persone che amiamo come abbiamo bisogno di respirare». Peccato che spesso ce ne accorgiamo quando non possiamo più averlo.
Cassandra Albani
Tag: 2019, 3 stelle, Commedia, Drammatico, Sentimentale