Il vero amore di Jon Martello, casanova di bassissimo cabotaggio che ogni sera va a letto con una donna diversa, sono i filmati porno, che consuma senza soluzione di continuità anche dopo essersi innamorato di Barbara. La ragazza, talmente carina e affascinante da entrare subito nelle grazie dei suoi amici e della sua famiglia, non riesce a far mettere la testa a posto a Jon. Ci riuscirà, guarda tu il destino, una donna che potrebbe essere sua madre, con cui il bulletto scopre cosa sia il vero amore.
All’esordio dietro la macchina da presa, Joseph Gordon-Levitt ha la pretesa di essere intelligente (ma le frecce che scocca vanno a finire tutte molto lontane dal bersaglio) e non si preoccupa di confezionare un buon film. L’addiction del titolo originale è la dipendenza dai filmati erotici che il protagonista consuma a dosi da elefante, teorizzandone addirittura la superiorità rispetto ai veri rapporti sessuali. Gli altri, per lui, fossero anche le donne più belle del mondo, sono una seccatura: molto meglio fare tutto da soli. Il film ci mette novanta interminabili minuti per portare questo personaggio verso una presa di coscienza rispetto alla dipendenza che lo domina (“smetto quando voglio”, proclama ogni volta prima di ricadere nella trappola) e poi verso una vera e propria redenzione attraverso l’amore vero (vissuto cioè nella reciprocità e non, come ha sempre creduto, valutando le donne come fossero oggetti da omaggiare con un voto da 1 a 10 in base alla carrozzeria).
Che questo insegnamento gli venga da una donna molto più matura di lui, che potrebbe essere sua madre, e che con l’idillio tra i due la storia si concluda, la dice lunga sull’irriverenza di cui il film è farcito. Volutamente sopra le righe ed esagerato in ogni presa in giro dei luoghi comuni (siano quelli delle famiglie italoamericane con i maschi in canottiera che divorano spaghetti inveendo contro quello che vedono in tv, o quelli delle sdolcinate commedie romantiche che Hollywood produce come in catena di montaggio vendendo sentimenti fasulli), il film vorrebbe raccontare una parabola di redenzione attraverso una dinamica assolutamente vera – un uomo che soffre di dipendenze smette di fare del male a se stesso quando viene amato per davvero e guardato dentro per la prima volta – che potrebbe perfino farci essere indulgenti se il film non fosse inguardabile per almeno due motivi.
Il primo, è che ogni trenta secondi c’è un’immagine tratta da un filmato porno (il film cade così nella solita contraddizione: sicuri che spargere a piene mani la sostanza nociva sia il modo migliore per denunciarne la pericolosità? Non c’erano altri modi per raccontare questa storia?). Il secondo motivo è che, nel calderone dei luoghi comuni, ci finisce anche la Chiesa cattolica (poteva mancare?): da bravo italoamericano, Jon è cattolico praticante. Va a messa tutte le domeniche e una volta alla settimana si confessa. Inginocchiato nel confessionale, elenca tutte le sue malefatte con il sorriso soddisfatto di chi sa che, per quanto potrà andare avanti, se la caverà con qualche Pater Ave Gloria da sgranare per qualche minuto, senza che il sacerdote che c’è dall’altra parte della grata (un robot, più che altro, un dispensatore acritico e asettico di assoluzioni) gli dia la minima indicazione su una via diversa da seguire. Davanti alla grata non c’è nessuna contrizione né nessun pentimento; dietro la grata abbondano ipocrisia e indifferenza. Alternare e distribuire in egual misura le scene dei video porno e quelle ambientate in chiesa (con tutto il corredo di vetrate, messali, particole, acqua santa e miserere e, naturalmente, guantiere delle offerte rigurgitanti dollari) ci sembra una soluzione di bassissima lega da parte di un regista cui consigliamo caldamente di tornare a fare l’attore.
Scegliere un film 2014
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