Il film si apre con un incidente: nella notte dopo un ricevimento natalizio, uno dei camerieri torna a casa in bicicletta per le strade innevate della campagna brianzola; due auto si incrociano proprio mentre una delle due, un Suv, lo urta, durante il sorpasso, causandogli gravi ferite. Dopo il prologo, il film inizia presentandoci Dino Ossola (un Fabrizio Bentivoglio in versione padana), immobiliarista in difficoltà economiche che approfitta del fatto che sua figlia Serena (la brava esordiente Matilde Gioli) sia la ragazza del figlio di un importante finanziere, Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), per iniziare a giocare a tennis con lui e convincerlo a lasciarlo entrare nel suo fondo di investimento, dove Dino azzarda più di quello che ha nella speranza di rapidi guadagni, il 40% annuo… Le cose purtroppo non andranno così. Il ricevimento della sera dell’incidente era la festa della scuola di Serena e di Massimiliano, il figlio del finanziere. A completare il quadro, la moglie di Bernaschi, Carla (Valeria Bruni Tedeschi, in un ruolo che anni fa sarebbe stato di Margherita Buy), insoddisfatta ex attrice di teatro, il professor Russomanno, che viene coinvolto da Carla nel progetto di rinascita del teatro locale, e la seconda moglie di Dino Ossola (Valeria Golino), psicologa in attesa di due gemelli. Un intenso progresso di sorprese e rivelazioni porta il film a un finale agrodolce, che sembra confermare il fatto che i soldi aggiustino tutto e facciano girare il mondo, ma certo non rendono l’uomo felice.
Il film da noi ha suscitato qualche polemica perché alcuni amministratori locali della Brianza non si sono riconosciuti nel ritratto particolarmente amaro del film, ambientato (e girato), appunto, nelle zone fra Milano, Como e Varese, in una cittadina immaginaria chiamata “Ornate”. In realtà il film è tratto da un romanzo americano, ambientato nel ricco Connecticut e, a voler essere fiscali, alcune cose di quest’origine non italiana si sentono e stridono un po’ con l’ambientazione brianzola (è abbastanza evidente che per gli Autori del film la Brianza è un’astrazione e non la conoscono; il film avrebbe potuto essere ambientato anche nelle ville romane dell’Olgiata o in altre zone agiate del Paese): per es. la scuola cattolica per ricchi dove gli alunni liceali portano la divisa e c’è un premio natalizio al miglior alunno (come noto, niente di più lontano dalla scuola italiana che fomentare competitività), la signora facoltosa che si servirebbe dell’autista anche per fare acquisti in città, ecc.
Ma questi difetti si possono perdonare a un film che è comunque scritto, diretto e interpretato molto bene, e che ha il pregio, invece – anche qui probabilmente merito del romanzo di partenza – di non scadere in altri stereotipi. Il finanziere interpretato da Gifuni, per esempio, non è un venditore di fumo, ma un uomo serio, rigoroso, disciplinato, asciutto, che ci terrebbe a educare bene suo figlio e, quando scopre che la macchina che ha ucciso il cameriere è proprio quella del figlio e che Massimiliano è quindi indiziato dell’uccisione, non teme di affrontarne le conseguenze e non è tenero con il rampollo.
Il film opera una scelta originale e audace nella sceneggiatura, firmata dall’abituale collaboratore di Virzì, Francesco Bruni (anche regista di Scialla!, nonché sceneggiatore di moltissimi Montalbano televisivi) e dal cosceneggiatore Francesco Piccolo: ripercorre per tre volte lo stesso arco temporale, dall’estate ai giorni dell’incidente fatale, ogni volta mostrando un lato nascosto delle vicende. Tornando su di esse da un diverso punto di vista, si scoprono via via aspetti dei personaggi e delle loro implicazioni nelle vicende che erano prima impensati, e la storia assume sempre di più la dimensione di un poliziesco-thriller dove si deve scoprire chi guidava veramente l’automobile che ha causato la tragedia. L’espressione “capitale umano” è quella usata dalle assicurazioni per calcolare il risarcimento da dare ai familiari della vittima di un incidente, basato su parametri come guadagni medi, aspettativa di vita, ecc.
Nessuno si salva, in questo ritratto amaro della provincia, tranne forse la figlia Serena e la psicologa interpretata da Valeria Golino.
Questo sfociare nel thriller tiene alta la tensione dello spettatore (il gioco delle rivelazioni è sempre interessante e congruente) ma forse lascia un po’ in secondo piano la questione di come i soldi guidino la vita e le scelte delle persone, che poteva e forse doveva essere il tema centrale del film, il che indebolisce un po’ la forza profonda di una storia comunque ben realizzata, senz’altro uno dei migliori film italiani dell’anno.
Scegliere un film 2014
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