Oliver Quick è uno studente di Oxford. Schivo e non particolarmente attraente, si muove ai margini della vita universitaria, osservando da lontano i compagni più ricchi e cool di lui. Tra questi brilla Felix Catton, rampollo di una nobile famiglia inglese. In seguito a una serie di circostanze fortuite, i due si avvicinano e finiscono per diventare amici. Quando il padre di Oliver muore di overdose (o, almeno, questo è quello che racconta lui), Felix invita l’amico a trascorrere l’estate a Saltburn, la residenza di campagna della sua famiglia. Qui Oliver incontra i bizzarri e problematici membri della famiglia Catton e sviluppa un’ossessione sempre più morbosa nei confronti di Felix. Un’ossessione che non può che avere conseguenze tragiche…
Scritto e diretto da Emerald Fennell, vincitrice dell’Oscar per la miglior sceneggiatura originale con il film del 2020 Una donna promettente, Saltburn ha fatto molto parlare di sé fin dal momento della sua uscita su Amazon Prime. Il pubblico si è equamente diviso tra chi l’ha incensato, lodandone soprattutto la qualità estetica e le doti interpretative dei protagonisti, e chi l’ha stroncato, definendolo morboso, inquietante e poco originale. Il film pullula di riferimenti visivi e narrativi, i più evidenti sono sicuramente quelli a Il talento di Mr. Ripley. Anche nel caso di Saltburn, infatti, un giovane di umile estrazione sociale (ma sarà davvero così?), indossa una maschera e, fingendosi diverso da quello che è, riesce a penetrare in un contesto sociale e famigliare apparentemente lontanissimo dal suo, ma a cui ambisce ardentemente. Sullo sfondo della tenuta di Saltburn – colorata e sfarzosa – si delinea il caleidoscopio di disagi della famiglia Catton: una madre algida e incapace di vera compassione, un padre stranito e più attento al rispetto delle convenzioni sociali che alle crepe che minacciano il suo mondo perfetto, una sorella affetta da disturbi alimentari e turbe psichiche… Grazie all’amicizia con Felix, Oliver viene accolto e accettato dai Catton, ma quando si accorge di non poter davvero entrare a far parte di quella famiglia e di quel mondo scintillante, inizia a pensare a come distruggerlo dall’interno, muovendosi come un ragno che tesse la sua tela.
Da un punto di vista meramente estetico e visivo, Saltburn è indubbiamente un bel film: location splendide, messa in scena sontuosa, inquadrature perfette e studiate fin nei minimi dettagli. Peccato che tutto questo non sia che la cornice barocca a una storia che rimane impressa solo per i suoi personaggi grotteschi e per alcune scene profondamente disturbanti. Si avverte non solo l’assenza di una qualsiasi morale, ma anche la fatica di empatizzare con il protagonista, non tanto perché sia un personaggio negativo, quanto perché totalmente privo di un arco di trasformazione o di una motivazione che giustifichi almeno in parte i suoi comportamenti. Nulla di quello che emerge dalla trama aiuta a spiegare i suoi tormenti, i suoi deliri di onnipotenza e la mostruosità delle sue azioni. Il risultato è che – sotto la patina dei colori brillanti – Saltburn rimane un quadro fondamentalmente sbiadito, con numerose macchie di marcio e a cui manca una chiave interpretativa per riuscire davvero a decifrarlo. Come lo ha definito la giornalista Marta Perego, Saltburn è un film sul “vuoto che genera vuoto”.
Cassandra Albani
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