Fontaine vive nel Glen, un fittizio quartiere popolato da afroamericani, è un piccolo spacciatore e soffre la morte del fratello minore Ronald, ingiustamente ammazzato dalla polizia. Tra i suoi pusher c’è l’eccentrico pappone Slick, sempre accompagnato dalla prostituta Yo-Yo. Una sera, Fontaine diventa bersaglio di alcuni spacciatori rivali e viene colpito da una raffica di proiettili. Sorprendentemente però, la mattina dopo si risveglia sano come un pesce. È stato clonato. Qualcosa non torna e Fontaine, Slick e Yo-Yo cominciano ad indagare per capire cosa possa essere successo. È così che scoprono un laboratorio segreto sede di una cospirazione governativa che intende usare i neri come cavie per diversi esperimenti.
L’esordio alla regia di Juel Taylor non rientra sicuramente tra i suggeriti delle nostre liste Netflix perchè difficilmente somiglia ad altri film già visti, eppure le sue due ore di sensata follia non vi faranno pentire di aver deviato dell’algoritmo. Taylor osa con un mix sorprendente di dramma e umorismo, di thriller e commedia, intrattenendo il pubblico con gag divertenti, continuo black humor dell’improbabile trio, ma raccontando una triste verità tra esilaranti battute. Sceglie di trattare temi importanti a livello sociale e culturale senza mai ricorrere a una chiave drammatica, ma divertendo e, allo stesso tempo, provocando con continue assurdità e satire dai toni dissacranti.
Come ha raccontato Taylor stesso, e come dimostrato dagli elementi di mistero, comicità, satira e fantascienza, l’intento del film era omaggiare quel filone del cinema black anni ‘70 dal nome blaxploitation. Il termine derivava da due parole inglesi black (nero) e exploitation (sfruttamento) e indicava un genere di film diffusosi in quegli anni che si distaccava dalla visione bianca degli afroamericani. Erano film carichi di violenza, sesso, umorismo e cliché raccontati ed esorcizzati da chi li viveva davvero.
Allo stesso modo, Taylor riprende questi aspetti tipici del genere, li ammanta di una pungente ironia per dare vita a una versione distopica della realtà senza scadere mai nel banale o già detto. Quello che si vuole fare è una denuncia, forse una critica a ciò che succede ormai nella nostra società, soprattutto quella americana a cui si rivolge.
Eppure, nonostante la paura del potente, c’è sempre qualche eroe deciso a combattere per difendere la propria libertà e, così facendo, dona coraggio a tutti quegli altri che hanno solo bisogno di essere accompagnati in questa lotta. Per stare bene e in pace, non serve essere uguali, pensarla uguale, essere tanti cloni progettati dall’esterno affinché si muovano all’unisono… bensì occorre avere a cuore la vita e la libertà dell’altro.
Ma quindi chi è questo Tyrone? Il finale lo spiega in modo abbastanza esplicito. Sono tutti gli stereotipi, tutte le persone nere rinchiuse nell’immaginario comune di una comunità discriminata e confinata nel ghetto.
Elisa Ricci
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