Antonio vive con la madre, anziana e sorda, in un piccolo paese del nord Italia. Fresco di pensionamento, dopo aver lavorato per una vita come tornitore in un cantiere navale, trascorre un’esistenza tranquilla tra una partita a bocce con gli amici e le colture di un piccolo orto. Quando la sua unica figlia, Emilia, gli comunica di volersi sposare, l’uomo insiste per farsi carico di tutte le spese per rinfresco e festeggiamenti. Ci vogliono trentamila euro ma in banca scopre che tutti i suoi risparmi, convertiti anni prima in azioni praticamente a sua insaputa, sono andati in fumo. Come lui, tanti altri in paese sono stati truffati ma nonostante non sia l’unico, il povero Antonio non riesce proprio a farsene una ragione…
Cento domeniche è l’ultimo film di Antonio Albanese, il quinto da regista. Ci sono voluti due anni di lavorazione e di documentazione, a detta del noto comico, per raccontare il delicato tema dei crac bancari che anche negli ultimi decenni hanno purtroppo fatto storia, colpendo soprattutto i piccoli risparmiatori (nello specifico la trama sembra fare riferimento al recente caso delle banche venete). Dietro alla triste vicenda del protagonista (fittizia ma verosimile), ci sono quindi le storie vere di tante persone messe in ginocchio dalla cattiva (o disonesta) gestione di certi istituti di credito.
Data la drammaticità dell’argomento, il film non può di certo essere una commedia – anche se le occasioni per strappare un sorriso ci sono – e pare ascrivibile ad un certo cinema sociale che, per il tema ed il realismo, ricorda alcuni lungometraggi di Ken Loach. La regia, asciutta e mai invadente (praticamente senza commento musicale), valorizza la recitazione e le conseguenze emotive ed esistenziali di questa storia di ordinaria ingiustizia.
Ciò che invece nel film pare a tratti fuori dall’ordinario, ma comunque umanamente comprensibile, è l’ostinazione di Antonio a voler farsi carico del cospicuo esborso di denaro, nonostante la nuova e sciagurata condizione, senza quasi volere l’aiuto di nessuno (indubbiamente la sua colpa più grande). L’individualismo del protagonista, un po’ gretto per certi versi ma profondamente umano, è il presupposto su cui si regge tutta la storia.
La storia ha d’altra parte una progressione compassata, la trama è essenziale, priva di avvincenti svolte narrative o picchi di tensione (fino al drammatico finale) ma ha nella pacifica normalità del contesto e dei personaggi il suo punto di forza, perché stride ancor di più con la disperazione scomposta, da un certo punto in poi, del protagonista.
Proprio nel percorso di declino del personaggio sta la bellezza del film, che non indaga più di tanto sulle motivazioni e le dinamiche che hanno portato alla drammatica situazione di insolvenza della banca – non è un film di inchiesta e solo marginalmente punta il dito contro le differenze tra ricchi e poveri – ma sembra piuttosto costruito per mettere in scena con una certa delicatezza le conseguenze di queste ingiustizie sulle persone, un pugno allo stomaco dello spettatore nella speranza che certe cose non accadano più.
Gabriele Cheli
Tag: 4 stelle, Drammatico, Film Italiani