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Lubo


TITOLO ORIGINALE: Lubo
REGISTA: Giorgio Diritti
SCENEGGIATORE: Giorgio Diritti e Fredo Valla
PAESE: Italia, Svizzera
ANNO: 2023
DURATA: 181'
ATTORI: Franz Rogowski, Christophe Sermet, Valentina Bellè e Noémi Besedes
SCENE SENSIBILI: Una scena di omicidio efferato evocata più che mostrata e alcune scene a contenuto erotico ma senza nudo.
1 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 5

Svizzera, Cantone dei Grigioni, 1939. Lubo Moser, con sua moglie e i tre figli piccoli è un girovago artista di strada, di etnia Jenisch (nomadi come i Rom e i Sinti). A causa di una paventata invasione nazista, le autorità elvetiche lo costringono ad arruolarsi nell’esercito. Poco dopo, apprende che i suoi tre bambini sono stati prelevati dalla polizia e la moglie è morta nel tentativo di impedirlo. Affranto dal dolore, Lubo diserta, uccide un ebreo austriaco e si impossessa della sua identità, nonché dei suoi ingenti beni. Il desiderio di ritrovare i figli, diviene un’ossessione vendicativa che spinge Lubo a ingravidare nobildonne con l’inganno, pur di concepire altri membri della sua etnia. Quando l’amore di un’innocente ragazza madre, da cui aspetta un altro figlio, gli offre la possibilità di una nuova famiglia, il debito con il passato spegne anche questo sogno. Nuovamente costretto a separarsi da quell’affetto, anni dopo, Lubo vorrebbe ricongiungersi con il figlio avuto da quella donna, morta prematuramente, ma quando ciò gli è precluso, sceglie – a scapito dei suoi interessi – che si sappia la tragica verità dei tanti bambini sottratti alle loro famiglie.

Quando a rubare i bambini non furono gli zingari

Attraverso l’odissea di Lubo, dal 1939 al 1959, Giorgio Diritti (ispirandosi liberamente al romanzo di Mario Cavatore Il seminatore del 2004) apre uno squarcio di sconcertante verità sul Kinder der Landstrasse, ovvero il sistematico smistamento in orfanotrofi e famiglie adottive svizzere dei bambini di etnia Jenisch, attraverso l’apparentemente innocua fondazione Pro Juventute. Negli anni del genocidio nazista, la Svizzera, proverbiale esempio di neutralità e correttezza, perpetrava un piano di vera e propria eugenetica per estirpare la presenza dei nomadi dal Paese. Le istituzioni che impongono al saltimbanco Ludo di imbracciare le armi per la difesa dei loro confini, sono le stesse che lo privano degli affetti più cari. Il male prende il sopravvento sulla bellezza che l’artista di strada sapeva donare ai suoi spettatori. Soffocato dal lutto, Lubo cede alla violenza e all’inganno, illudendosi che sia la via per avere giustizia. Nei panni di un uomo molto diverso da sé, il protagonista si degrada strumentalizzando denaro e sesso e solo l’incontro con la purezza di Margherita (ben interpretata da Valentina Bellè) risveglierebbe in lui il desiderio mai sopito di fare famiglia, se solo gli eventi non volgessero ancora contro di lui. La lunga avventura di Lubo non trova alcun facile lieto fine, ma la didascalia finale informa gli spettatori che la Svizzera, pur solo alla fine degli anni Ottanta, ha riconosciuto la gravità etica dei fatti narrati dal film.

Un nitido monito civile con un grande interprete

Diritti si conferma uno dei registi italiani più appassionati nel raccontare eventi attinti dalla storia e capaci di imprimersi nella coscienza del pubblico per i grandi temi valoriali che mettono in campo (ricordiamo il bellissimo L’uomo che verrà). In Lubo, attraverso una narrazione fortemente drammatica, a tratti epica ma mai retorica, lo spettatore è chiamato a interrogarsi sulla dignità della persona, sulle conseguenze della violenza inferta ad ogni uomo, sulla insostituibilità dei legami famigliari, sull’orrore della discriminazione etnica. L’attenzione a contenuti così impegnativi non impedisce a Diritti, anche co-sceneggiatore, di tenere sempre elevata la temperatura emotiva della narrazione, anche se forse il film avrebbe goduto di una durata inferiore alle tre ore. La stessa fotografia, dalle tinte calde e contrastate, attrae la visione, rendendo anche il paesaggio coprotagonista, ma, soprattutto il pubblico empatizza dal primo minuto con Franz Rogowski. L’attore tedesco, infatti, quasi sempre in scena, è un interprete superlativo che con il suo poliedrico magnetismo vale da solo la visione del film.

Giovanni Capetta

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