Orhan Sahin, un passato da scrittore, torna a Istanbul dopo tanti anni per aiutare Deniz Soysal, noto regista di fama internazionale, a scrivere il suo primo romanzo. Per Orhan il viaggio è l’occasione per conoscere personalmente vicende e personaggi descritti nel libro che mischia in maniera insondabile realtà e fantasia. Quando improvvisamente il regista scompare, Orhan comincia a scavare nella vita di Deniz alla ricerca di una verità che lo porterà a fare i conti soprattutto con se stesso e il suo doloroso passato…
Per il suo undicesimo film Ozpetek torna a girare in Turchia, venti anni dopo l’esordio con Il bagno turco. Il rosso del titolo infatti è sicuramente il colore dell’amore che unisce in vario modo i personaggi del film, ma è anche l’amore del regista per Istanbul, la sua città natale. Senza alcun dubbio uno dei punti di forza del film è proprio quello di riuscire a raccontare e valorizzare l’ambientazione, non tanto da un punto di vista architettonico e paesaggistico, quanto nel ricreare e trasmettere allo spettatore la sua atmosfera vitale e misteriosa.
La storia è liberamente ispirata all’omonimo romanzo di Ozpetek ed è denso di elementi ricorrenti nella sua filmografia: la complessità e l’ambiguità delle relazioni, l’indagine introspettiva dei personaggi, l’ossessione per il mistero. Nonostante siano tutte tematiche che il regista in più di una circostanza ha dimostrato di padroneggiare alla perfezione, a volte in chiave brillante (come per esempio in Mine vaganti), altre puntando sul pathos (una su tutte La finestra di fronte), il film non riesce mai a coinvolgere veramente sul piano emotivo e risulta a tratti un esercizio di stile un po’ noioso.
Determinanti in questa direzione sono i tempi di racconto, oltremodo dilatati nell’inanellare una lunga serie di quadretti a due, in cui vanno in scena dialoghi verbosi e talvolta pure scontati; e poi l’incedere della trama per ellisse, che pretende molto, forse troppo, dallo spettatore. La sottrazione di informazioni, soprattutto nel cercare di capire la reale natura dei rapporti tra i personaggi, da una parte funziona perché alimenta la curiosità e fa da traino alla storia, dall’altra però la rende cervellotica e sposta il fuoco sulla comprensione della verità, piuttosto che sulla sua portata emotiva. Anche i momenti di rivelazione più caldi, come quello per esempio in cui si scopre la terribile tragedia sepolta nel passato del protagonista, risultano in fin dei conti poco coinvolgenti.
Proprio per sanare questa ferita ancora aperta, lo scrittore Orhan ha rinunciato a se stesso e alla sua identità, costringendosi a un esilio forzato a Londra che lo ha allontanato da tutti gli affetti delle origini. Il protagonista quindi è un uomo alla ricerca di sé e – nonostante abbia il compito di aiutare come editor il regista nella stesura del suo libro – finisce egli stesso cambiato da Istanbul e dal mondo di Deniz, di fatto sostituendosi a lui nelle sue relazioni. I risvolti vagamente morbosi di questo scambio di persona, infine, incentivano il distacco nello spettatore che assiste a dinamiche difficilmente comprensibili e talvolta ai limiti del surreale.
Gabriele Cheli
Tag: 3 stelle, adattamento da romanzo, Ferzan Özpetek, Viaggio interiore