Abe ha raccontato al nipote mitiche storie sull’orfanotrofio in cui viveva da bambino. Quando il nonno muore in circostanze misteriose, Jake si mette sulle tracce del leggendario istituto: la ricerca lo porta a Cairnholm, un’isola remota al largo delle coste gallesi…
In inglese esistono molte parole per esprimere il concetto di ‘stranezza’. Peculiar, in particolare, significa ‘speciale’, ‘diverso dagli altri’, con un’accezione in bilico tra ironia e understatement. Non è un caso, insomma, che Tim Burton, cantore del bizzarro, abbia scelto di dirigere Miss Peregrine’s Home for Peculiar Children, primo capitolo della saga young adult scritta da Ransom Riggs. Sulla carta gli ingredienti ci sono tutti: un adolescente problematico, genitori distanti, ragazzini con facoltà paranormali (i Peculiar, appunto) e mostri che danno loro la caccia.
Ancora una volta, Burton si ritrova a parlare di freaks, ma anche di un vecchio storyteller (Abe) e del legame che lo unisce al suo giovane ascoltatore (Jake), sotto il segno del racconto e della diversità. Il messaggio finale sta proprio nel rilancio di questa peculiarity, che Jake e i suoi amici devono coltivare per riscoprirsi unici, coraggiosi, indipendenti. Il confronto generazionale resta sullo sfondo, mentre la riflessione sul rapporto tra realtà e finzione, centrale in Big Fish, cede il passo a una più scanzonata rassegna dell’immaginario dark fantasy.
Adattamento infedele del romanzo americano, lo script sfronda il lungo proemio originale e anticipa l’entrata nel mondo straordinario, semplificando con alterni risultati un intreccio non sempre fluido e a tratti anticlimatico. Nuovo anche il registro narrativo, che diluisce l’horror del libro con una comicità grottesca (i banchetti a base di occhi), pur conservandone le cupe atmosfere. Il team dei Peculiar appare più amabile (il carattere fumantino di Emma cambia assieme agli elementi che governa, dal fuoco all’aria) e calibrato nelle relazioni, a rimarcare lo spirito del gruppo e i suoi eccezionali poteri, dall’invisibilità all’arte di proiettare i sogni. Un po’ Mary Poppins, un po’ Crudelia De Mon, Eva Green è perfetta nel ruolo di Miss Peregrine, alla guida di una scuola per supereroi congelata in un eterno presente, che rivisita in chiave gotica il topos del college magico. Il tutto corredato dall’ormai protocollare estetica burtoniana, in un’altalena di giardini scolpiti, navi sommerse e cuori di rana in salamoia.
Nonostante il fascino della messa in scena e alcune sequenze effettivamente ispirate (Emma che si solleva come un aquilone tra le mani di Jake, il riavvio del loop sulle note di una canzone degli anni Trenta) conferiscano alla pellicola una gradevole aura vintage, l’incanto rimane in superficie: la psicologia degli Speciali è infatti appena accennata, il protagonista troppo anonimo per restare impresso e la sua love story solo leggermente più tiepida. La sottotrama di Enoch e Olive, che ricordano vagamente Jack e Sally del Nightmare Before Christmas, riserva qualche guizzo, anche se i golem a cui lui dà vita – dove fa capolino la stop motion cara al Burton animatore – inquietano quasi quanto i cattivi stessi. Ridicoli (ancorché diabolici) e poco approfonditi, sono soprattutto i villain, tasto dolente già nell’opera di Riggs, a far traballare la trama, da cui sarebbe stato lecito aspettarsi di più.
Tra scheletri in lotta, scienziati pazzi e spettri ricoperti di zucchero filato, l’ultima fatica di Burton mette tanta carne al fuoco, e visivamente colpisce nel segno, ma come spesso accade quando si antepone la forma ai contenuti, la storia purtroppo non arriva al cuore, risultando poco convincente – e meno peculiar del previsto.
Maria Chiara Oltolini
Tag: 3 stelle, adattamento da romanzo, Avventura, Drammatico, Fantastico, Tim Burton