Berlino 1940. I coniugi Anna e Otto Quangel ricevono la notizia che il figlio militare in Russia è morto sul fronte. Fino a quel momento i Quangel hanno cercato di sopravvivere facendosi i fatti propri e non occupandosi di politica, ma la notizia scatena nei due, prima separatamente, poi uno accanto all’altro, un’inedita forma di ribellione…
Tratto da un romanzo del 1947 di Hans Fallada e ispirato a una storia vera, il film di Vincent Perez trae la sua forza dalle interpretazioni di Emma Thompson e Brendan Gleeson, che danno sangue e profondità ai due protagonisti di una resistenza istintiva e silenziosa, apparentemente inutile e perdente, ma in realtà incredibilmente significativa, al regime nazista.
I Quangel scelgono una forma di protesta atipica: scrivono brevi cartoline di contestazione al regime e alla guerra e le abbandonano, a rischio della vita, in diversi luoghi pubblici, nella speranza che qualcuno le raccolga, le legga e cominci a riflettere.
Non implica armi né un’organizzazione particolare questa resistenza, in fondo neppure un piano (Otto inizia per conto suo e Anna lo segue più tardi) ma, forse senza volerlo, assomiglia al gesto del seminatore della parabola, che getta il suo seme “rivoluzionario” sui terreni più disparati lasciando alla provvidenza e alla libertà di chi lo riceve di segnare il suo destino.
La vera storia del film, tuttavia, non è nemmeno quella di un episodio che ha dell’incredibile, ma soprattutto quella delle conseguenze che questa nuova coscienza ha su Anna e Otto e sul loro matrimonio. Inizialmente lontani (forse più per abitudine e stanchezza che per reali motivazioni), i due sembrano definitivamente separati dal violento lutto che li colpisce, ma si ritrovano poco a poco vicini e alleati, anche nuovamente innamorati, nella loro comune missione.
Il film non segue solo la loro vicenda, ma a specchio anche quella dell’ispettore Escherich, l’ufficiale della Gestapo incaricato di stanarli: un “cattivo” senza grandezze, che anzi è spinto soprattutto dal tentativo di sopravvivere a un sistema violento anche contro i suoi, più che da un autentico bisogno di verità. Un vigliacco, come molti del resto, piccoli e meschini rappresentanti di quella “banalità del male” di cui parlava Hannah Arendt e da cui sono circondati i Quangel.
È proprio il confronto dal loro eroismo minimo e quotidiano e la massa dei molti che, pur non azionando le macchine delle camere a gas od ordinando bombardamenti, sono stati i “silenziosi complici di Hitler” (per usare una storica espressione) che emerge il senso più profondo di questa storia.
Per chi ricerchi le usuali emozioni delle vicende di guerra e resistenza Lettere da Berlino potrebbe risultare un po’ frustrante, con il suo esito già scritto e la mancanza di grandi svolte e scene di azione. La storia, qualche volta, sembra perdersi per strada, ma mantiene sempre una chiara e mai scontata bussola morale. Di fronte a un male che sembra essere diventato la norma e che richiede solo obbedienza, anche il più silenzioso gesto di umanità assume un valore rivoluzionario.
Laura Cotta Ramosino
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