A Tahiti De Roller, alto commissario della Repubblica, governa tranquillo fino a quando l’incubo di un possibile esperimento nucleare si fa sempre più concreto.
Nella bellissima Polinesia francese il tempo sembra non scorrere mai. La natura con la sua bellezza incontaminata, il mare con le sue onde affascinanti che non hanno niente di pericoloso si susseguono a hotel, night club, case ricche e case isolate.
Lì a Tahiti, De Roller (uno straordinario Benoît Magimel) governa l’isola. Non sembra un prefetto, un commissario della Repubblica francese: indossa giorno e notte un completo bianco, porta lenti blu, ha capelli biondi sempre curati. All’inizio del film lo si vede in un night club con i camerieri perfetti, ma tutti, uomini e donne, in costume bianco.
Lontano dalle atmosfere dei suoi precedenti film di ambientazione storica (Honor de cavalleria, La mort de Louis XIV, Liberté) Serra gira una storia contemporanea con cui, sin dal suo esordio al Festival di Cannes, nel 2022, ha fatto innamorare la critica cinematografica.
Talmente contemporanea che lo spettatore è chiamato a vivere un’esperienza unica.
Si dovrà rinunciare alla descrizione di Pacifiction, un film lontanissimo da qualsiasi etichetta o categoria.
Che però ha fatto parlare di sé e continuerà a far parlare. Tornato senza premi dal Festival di Cannes, il film di Albert Serra è stato amato molto dai César (gli Oscar francesi per i quali ha vinto come migliore attore protagonista e migliore fotografia su 9 candidature) e due Lumière al regista e al protagonista (assegnati dalla francese e prestigiosa Académie des Lumières).
Non è un film di azione né di eventi particolari. Non c’è un arco classico del protagonista. C’è il nucleare, un pericolo sempre latente, in apparenza inventato, ma sicuramente foriero di paura.
In Pacifiction si attende sempre che succeda qualcosa: il prefetto incontra i nativi che temono per le sorti della propria isola perché si vocifera l’avvistamento di un sottomarino e di possibili test nucleari. Così De Roller inizia a incontrare persone, politici, militari, possibili alleati e si appoggia ad una donna (l’attore transgender Pahoa Mahagafanau), l’unica che gli dà sicurezza.
Si aggira per l’isola, di notte perlustra la baia con il binocolo in direzione del mare perché potrebbe avvistare il sottomarino di cui tutti parlano e di cui tutti hanno timore.
Non sappiamo cosa lo spinge veramente a muoversi senza sosta, sempre attivo, sospettoso del genere umano. In questo film non esiste alcuna scena senza di lui e lo spettatore percepisce la solitudine, la malinconia, l’inquietudine, la paura, l’attesa di qualcosa che dovrebbe succedere.
Eppure in questo lungometraggio decisamente adatto ad un pubblico che ama i film di pura atmosfera, in cui la metafora è l’unica regola narrativa, si percepisce la grandezza di una storia dove l’uomo, in bilico tra il potere desiderato e il controllo del presente, non manifesta mai i sentimenti che ha, ma li scatena in chi lo osserva, facendo emergere solo la sua imponderabilità.
Emanuela Genovese
Tag: 4 stelle, Drammatico, Plauso dell critica