Cresciuta da una madre esigente e anaffettiva, Tonya Harding tenta il riscatto attraverso il pattinaggio artistico, ma il suo carattere spigoloso e l’incapacità di adattarsi alle regole di un mondo fatto di apparenze le impediscono di arrivare sul gradino più alto del podio. Anche la sua vita privata è problematica, soprattutto quando, per sfuggire alla pressione materna, decide di sposare un uomo che la picchia… Ma l’ultimo e più noto capitolo della sua storia è quello legato all’aggressione alla collega Nancy Carrigan, nel 1994, alla vigilia dei Giochi Olimpici, di cui viene considerata mandante. Ma qual è la verità su Tonya?
Qual è la verità della vita di una persona? Quella che ci racconta lei? Quella di chi le sta vicino? Quella riportata dai giornali?
Interpretato e prodotto dalla talentuosa Margot Robbie, I, Tonya è una biografia anomala, sorprendente, ma profonda che trova una modalità espressiva singolare, ma efficacissima per raccontare una cattiva (così venne dipinta Tonya Harding da tutta la stampa all’indomani dell’aggressione che avrebbe segnato la sua vita), decostruendo e ricostruendone la psicologia e la vicenda umana con un piglio che è quello del mockumentary (con tanto di “interviste” ricostruite ma verissime), ma senza perdere la capacità di coinvolgere ed emozionare.
La storia di Tonya, della sua vita da white trash, i suoi disperati tentativi di emergere contro tutto e contro tutti, il suo disperato desiderio di essere amata e accettata, possono prendere spesso i toni della farsa, ma sfidano nonostante tutto il pubblico a empatizzare con questo essere umano imperfetto, la cui cattiveria non ha nulla di grandioso e la cui miseria impariamo ad amare tanto quanto il suo talento.
Il mosaico dei personaggi che circondano la protagonista (talmente surreali che quando scopriamo sui titoli di coda che corrispondono perfettamente ai loro referenti reali l’impatto è notevole) è il perfetto corollario di un sogno americano fatto di mille illusioni e molte ipocrisie, un mondo e una società che ha bisogno di assegnare etichette e dove i trionfi non bastano a garantire la felicità.
l film di Gillespie ha ritmo, profondità e originalità quanto basta a rendere attuale una vicenda vecchia ormai di vent’anni e la Robbie mette cuore e intelligenza in un personaggio con cui evidentemente simpatizza al di là dei limiti riconosciuti. La descrizione del rapporto tra Tonya e il marito Jeff attraverso i toni di un’ironia dissacrante riesce comunque a far emergere la logica perversa di un amore distruttivo e malato, che nasce come una fuga e si trasforma in una prigione, da cui non si può uscire, perché non si riesce nemmeno a immaginare di poter essere “amata” diversamente.
Brillanti tutti i comprimari, a partire da Allison Janney, nei panni della madre tiranna e sfruttatrice. Godibilissimi i siparietti che coinvolgono il marito di Tonya (Sebastian Stan, bravissimo a dare vulnerabilità, cattiveria e ottusità al suo personaggio) e il suo amico Shawn, artefici della rovina di Tonya, ma divertenti come una coppia di delinquenti usciti da un film dei fratelli di Coen o di Quentin Tarantino.
Luisa Cotta Ramosino
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