In un pomeriggio come tanti, un oggetto non identificato precipita dal cielo nel bel mezzo di piazza Vittorio, a Roma. Incredibile ma vero, si tratta di Benito Mussolini in persona, il volto tumefatto, la divisa dei bei tempi. Il dittatore, vagando senza meta in un Paese distante anni luce dal suo, così tecnologico e multiculturale, si imbatte nell’aspirante reporter e regista Andrea Canaletti, che scambiandolo per un attore comico (come tutti del resto), cerca di cavalcarne la verve e l’energia per girare un documentario sull’Italia di oggi. Di tutt’altro tipo sono invece le ambizioni del duce, che mira a guadagnare consensi per tornare al potere. E in effetti, a poco a poco, la popolarità dell’uomo cresce sempre di più, fino alle prime comparsate tv. Il folle piano del dittatore sembra così prendere forma…
Dopo Benvenuti al Sud (liberamente ispirato alla commedia francese Giù al nord), un altro remake in salsa europea per il regista Luca Miniero, con questa rivisitazione nostrana di Lui è tornato, film tedesco campione d’incassi (a sua volta tratto dall’omonimo best seller) che immagina l’improbabile ritorno di Adolf Hitler nella Germania dei nostri giorni.
Come nella pellicola tedesca, anche Sono tornato è un’occasione per raccontare il nostro Paese, con le sue bellezze e le sue contraddizioni, attraverso lo sguardo innamorato di un personaggio così controverso e ingombrante per la storia italiana. La cosa più divertente è rendersi conto che dalla bocca del Duce, sempre così alienato e fuori contesto, escono anche delle verità lucide e spesso condivisibili sulla nostra situazione culturale, politica ed economica. Il film non si risparmia nemmeno qualche frecciata sui rapporti tra televisione e potere, come si può capire dall’amara ma suggestiva sequenza finale in cui il dittatore e Katia Bellini (Stefania Rocca), direttrice di Mondo Tv, la rete per cui lavora l’impacciato Andrea, salgono a braccetto sul carro trionfale che attraversa le vie della Roma antica.
Proprio quella di presentare Mussolini come mentore positivo per il popolo italiano, dal pulpito dei salotti televisivi che lo accolgono a braccia aperte per la sua carica involontariamente comica, è la chiave più divertente e curiosa del film, almeno fino a quando non comincia a prendere corpo seriamente il suo piano di tornare al potere. Solo a quel punto qualcuno lo riconosce come “quello vero”, riportando alla mente dello spettatore tutto il male compiuto dal regime, a cominciare dalle leggi raziali e dai rastrellamenti nel ghetto ebraico. E allora il film cambia tono, non c’è più spazio per la commedia e la posta in gioco si alza drammaticamente.
Prima, il film è sicuramente più divertente e leggero, ma nel giudizio globale paga una sorta di ventre molle nella parte centrale, in cui il “camerata” Canaletti e il duce, per realizzare il loro documentario, si mettono a girare in lungo e in largo il Paese per tastare il polso al popolo italiano con improbabili interviste. Questa fase, anche se offre alcune situazioni decisamente simpatiche, ha una struttura un po’ troppo episodica e inevitabilmente rallenta la storia, che poi si riaccende verso il terzo atto, con la discesa in campo dell’aspirante capo di stato. La sensazione è che, seppur il film sia tutto sommato piacevole e offra anche diversi spunti di riflessione, regia e sceneggiatura abbiano avuto il braccino corto, forse presi dalla paura di affondare il colpo e scendere veramente in profondità nelle diverse tematiche solamente accarezzate.
Gabriele Cheli
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