Da una storia vera: nella Francia del XIV secolo, Lady Marguerite de Carrouges accusa il nobile Jacques Le Gris di averla violentata. Il marito Jean de Carrouges sfida dunque Le Gris a singolar tenzone all’ultimo sangue, affidando a Dio di far vincere chi dice il vero. Se de Carrouges dovesse perdere, sua moglie Marguerite sarà messa al rogo per falsa testimonianza. Chi dice la verità?
The Last Duel utilizza uno stilema narrativo non certo nuovo, quello delle molteplici versioni di una storia. Paragonato non per nulla al Rashomon di Kurosawa, il film si spezza in tre atti per tre punti di vista: “la verità secondo Jean de Carrouges”, “la verità secondo Jacques Le Gris”, “la verità secondo Lady Marguerite”. Il sistema utilizzato offre dei punti efficaci e dei punti deboli.
Da una parte rafforza il senso di documento storico. Come già si proponeva l’omonimo libro di Eric Jager da cui il film è tratto, la narrazione ha la pretesa di dipingere un quadro storiografico e fedele di quanto si evince dalle testimonianze durante il processo e i documenti raccolti circa i due cavalieri.
Sempre potente inoltre è lo spaesamento nel vedere una scena, quale la spiacevole sequenza dello stupro, prima dal punto di vista dell’aggressore, poi da quello dell’aggredita. Il film sa muoversi con intelligenza dentro le sottigliezze della percezione.
Ma il prezzo da pagare è la noia: lo spettatore è costretto a guardare tre volte lo stesso film. E difficilmente si potrà vantare anche l’esercizio intellettuale di ponderare e giudicare chi dice il vero, perché il film tradisce il suo principio di oggettività quando, al cominciare del terzo atto – “la verità secondo Lady Marguerite” – il nome va in dissolvenza lanciando una lapidaria sentenza: “la verità”.
Non si discute il talento di Ridley Scott nel mettere in scena con realismo film in costume. Ma “realismo” e “realtà” sono due cose diverse; già in passato il regista era scaduto in racconti poco verosimili culturalmente, come era accaduto per Le Crociate e Robin Hood. Ma mai a questi livelli.
Il film si nasconde dentro fatti effettivamente accaduti e frasi effettivamente dette… ma dipingendo un contesto antistorico e umanamente insensato.
È fin troppo percepibile il tentativo di parlare di un me too ante litteram, di un contesto di misoginia patriarcale, e forse di “cultura dello stupro”. Eppure anche così fosse, risulta davvero non credibile la superficialità umana con cui sono stati delineati i personaggi. Il mondo di The Last Duel è un mondo fatto di creduloni, arroganti, ipocriti, violenti, bugiardi e vigliacchi. Non esistono eroi, né antieroi; nemmeno antagonisti incompresi. Tutti i personaggi – uomini soprattutto ma le donne non fanno eccezione – sono spregevoli e abietti.
Tutti eccetto Lady Marguerite.
Marguerite è, in fondo, l’unico personaggio positivo del film. È docile e saggia, astuta e benevola. Ma dopo un padre opportunista, un marito possessivo, una suocera velenosa, quando giunge la violenza carnale, Marguerite non ci sta più. A costo di rimanere sola, chiede giustizia perché non è disposta a tacere il vero.
Un atto coraggioso senza dubbio. Ma di cui, più il film prosegue, più si fatica a comprenderne lo scopo. Marguerite esige che si faccia qualcosa ma non è chiaro cosa. Quando il marito sfida Le Gris, Marguerite gli rinfaccia che sta giocando con la sua vita pur di salvare il proprio onore. La donna si dichiara contraria alla pratica, lavandosi le mani dell’esito mortale del duello; ma se questo dovrebbe elevarla a persona progressista che non cerca il sangue e la crudeltà, ancora una volta solleva la domanda di cui sopra.
È inevitabile infatti percepire il film come una tragedia. La giustizia è e rimane qualcosa di impossibile da ottenere. E se era vero al tempo, non è chiaro perché oggi dovrebbe essere diverso.
Alberto Bordin
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