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Ready Player One


TITOLO ORIGINALE: Ready Player One
REGISTA: Steven Spielberg
SCENEGGIATORE: Zak Penn e Ernest Cline, dal romanzo di Ernest Cline
PAESE: Usa
ANNO: 2018
DURATA: 140'
ATTORI: Tye Sheridan, Olivia Cooke, Ben Mendelsohn, T.J. Miller, Simon Pegg, Mark Rylance.
SCENE SENSIBILI: scene di violenza nei limiti del genere.
1 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 5

In un futuro non troppo lontano, gran parte dell’umanità è ridotta in uno stato di miseria e di assoluta mancanza di prospettive. Wade Watts è uno dei tanti ragazzi di periferia che, per sfuggire allo squallore della vita quotidiana, si rifugia in una realtà virtuale chiamata OASIS. La ricerca del premio che Halliday, il creatore di questo mondo, ha nascosto prima di morire gli darà un obiettivo e un’occasione di riscatto.

Una realtà dalle infinite possibilità

Ritmato, psichedelico, divagante e allo stesso tempo rigidamente strutturato: la nuova opera di Spielberg, nella forma prima ancora che nella sostanza, ricorda più il videogioco che il film.
Siamo nel 2045, ma di questo mondo del futuro non vediamo che pochi squarci claustrofobici, perché quasi tutta la storia si svolge su OASIS, un universo variopinto e patinato, in perfetto stile CGI. “La gente ci viene per tutto quello che può fare e ci rimane per tutto quello che può essere” spiega il protagonista. Ed OASIS sembra veramente il mondo delle infinite possibilità: si può assumere l’aspetto che si desidera e fare quello che si vuole, senza limite apparente. Certo, anche su OASIS si può essere uccisi, ma questo si riduce a sgretolarsi nelle migliaia di monete ed oggetti che si sono accumulati negli anni, per poi ripatire da zero appena superata la frustrazione della sconfitta.

Mondo Reale vs Mondo Virtuale

La contrapposizione tra mondo reale e virtuale è un tema che popola da anni i grandi e piccoli schermi, spesso ridotto a luogo comune, anche se sempre più attuale (basti pensare che gli strumenti usati per entrare in OASIS, un visore VR e una tuta aptica, sono già stati brevettati e non hanno più niente di fantascientifico). Spielberg non riesce ad affrontarlo in una prospettiva veramente originale e convincente: in parte perché la realtà di Wade, che inizialmente si era mantenuta su toni dimessi e quotidiani, presto si trasfigura in un altro videogioco fatto di droni, esplosioni e inseguimenti rocamboleschi; ma soprattutto perché c’è un’incongruenza di fondo fra la morale proclamata a parole e il messaggio implicito del film. Infatti, fin dall’inizio è chiaro che Wade, per riscattarsi dalla sua condizione sociale di emarginazione, debba vincere le sfide virtuali e trovare l’Easter Egg (il premio nascosto da Halliday all’interno di OASIS, che darà al vincitore il controllo totale sul mondo da lui creato). Sentirsi quindi dire, nel finale, che “la realtà è meglio perché è reale” lascia un po’ il tempo che trova e non porta che provvedimenti modesti (chiudere OASIS due giorni a settimana per avere più tempo da dedicare alla realtà).

Una storia di un’elegante incoerenza

Nel complesso il film è ben lontano dal rigore argomentativo di Matrix, ma maschera con eleganza la sua incoerenza, annegandola nella bellissima grafica e in un fiume di citazioni della cultura pop. Da Ritorno al Futuro a Guerre Stellari, dal Signore degli Anelli a Shining (passando per decine di film e videogiochi meno conosciuti), gli unici riferimenti che sembrano mancare all’appello sono quelli allo stesso Spielberg, che erano presenti nel libro ma che il regista ha voluto rimuovere nell’adattamento. È facile allora intuire che a determinare il successo al botteghino non sono stati solo i ragazzi di oggi, quanto piuttosto tutti coloro che hanno vissuto la giovinezza negli anni ’80 e ’90 e che hanno potuto divertirsi a trovare i loro Easter Eggs, entrando letteralmente a far parte del gioco.
Nonostante questo ciò che più rimane al termine della visione non è tanto la scintillante superficie, quanto la ricerca di un rapporto con Halliday: un “dio” alquanto bizzarro, ma comunque l’unica presenza veramente reale all’interno di un mondo che per il resto si riduce a pura apparenza.

Giulia Cavazza

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