Maggio 1940. La Francia sta soccombendo all’attacco dei carri armati di Hitler e in Inghilterra la politica di appeasement di Chamberlain mostra la corda. A guidare la nazione viene chiamato Winston Churchill, da sempre fiero oppositore di ogni accordo con il dittatore tedesco.
Ma mentre le truppe inglesi sono accerchiate in condizioni disperate al di là della manica, in Inghilterra sono in molti a credere che l’unica via di uscita sia una pace onorevole. Churchill, nonostante la situazione si faccia sempre più drammatica, non intende cedere ed è deciso a forzare la mano ai suoi colleghi in parlamento.
Illuminato dalla grande performance di Gary Oldman, il film di Joe Wright, sceneggiato dallo stesso autore di La teoria del tutto, sceglie di focalizzarsi su un momento storico molto ristretto, poche settimane in realtà, che vanno dall’inizio dell’incarico dello statista al salvataggio dei soldati britannici a Dunkinrk.
Del film di Christopher Nolan dedicato a questo episodio potrebbe essere considerato l’ideale complemento. Tanto quello si concentra su un’azione spesso muta e su un punto di vista programmaticamente ristretto e incompleto, tanto quanto qui si ammirano i meccanismi della politica e dei suoi retroscena.
Il Churchill di Oldman è un uomo dalle forti passioni (non solo politiche, non si trattiene né sull’alcol né sul fumo e il trattamento che riserva alla segretaria oggi sarebbe ai limiti delle molestie) con un’ambizione smisurata e poche salde convinzioni.
Una di queste è l’impossibilità di qualsiasi trattativa con Hitler e sulla base di questa, sfidando l’evidenza di una guerra apparentemente persa in partenza (le truppe bloccate in Francia, i mezzi militari insufficienti, il sostegno parlamentare altalenante) e i propri stessi dubbi e debolezze, riesce a condurre un’intera nazione a una decisione storicamente decisiva.
Film e serie televisive (tra queste l’ottima The Crown, che a Churchill ha dedicato un ritratto altrettanto incisivo) ci hanno negli anni reso familiari le dinamiche imperfette della politica anche in quei momenti che la storia ha poi cristallizzato come eroici.
L’ora più buia ha il merito di mostrare come la forza e la debolezza dell’uomo e del politico Churchill nascano in realtà dalla stessa sorgente, una testardaggine a volte quasi cieca di fronte all’apparente ragionevolezza delle posizioni avversarie, la spietatezza necessaria di decisioni dolorose (il sacrificio della guarnigione di Calais, la stessa che anni prima aveva condotto al massacro di Gallipoli), la visionarietà che può passare per follia.
Oldman è circondato dal solito manipolo di straordinari attori britannici (Kristin Scott-Thomas nei panni della paziente consorte, Stephen Dillane in quelli dell’avversario pacifista Halifax, Ben Mendelshon in quelli di un reticente Giorgio V) oltre che dall’ormai onnipresente Lily James, cui tocca la parte della “ragazza comune” e una linea narrativa un po’ prevedibile.
A Wright si può rimproverare la solita tendenza un po’ estetizzante che finisce per mortificare l’indubbia drammaticità degli aventi a favore di scorci fotografici e movimenti di macchina acrobatici. La struttura pressoché impeccabile della storia ha un unico momento (la parola chiave è metropolitana) che, a seconda dello spirito dello spettatore, risulterà un pezzo di cinema imperdonabilmente imbarazzante o smaccatamente e gloriosamente popolare.
Quale che sia il giudizio, è certo che in quell’ora buia che avrebbe segnato i destini dell’Europa Churchill abbia saputo incarnare il meglio dello spirito britannico.
Laura Cotta Ramosino
Tag: 4 stelle, Biografico, Drammatico, Film da Oscar, Seconda Guerra Mondiale, Storico