In una Napoli misteriosa e sfolgorante, Adriana è un’anatomopatologa chiusa e solitaria, con profonde difficoltà relazionali dovute a un passato famigliare traumatico. Una sera incontra Andrea, un uomo di cui non sa nulla, ma con cui trascorre una notte di passione travolgente. Tra i due nasce qualcosa di più profonda tanto che il giorno dopo decidono di rivedersi. Ma Andrea non si presenta all’appuntamento e, nelle ore successive, Adriana scopre che gli è successo qualcosa di terribile su cui decide di fare luce.
Napoli Velata promette molto sin dall’apertura in cui la rappresentazione teatrale della “figliata dei femminelli” fa riferimento alla necessità di velare una realtà strabordante e insostenibile.
Sembrerebbe quindi che il fil rouge del film debba essere questo rapporto tra finzione e realtà, inscritto profondamente nella Napoli teatrale e misteriosa del Cristo velato. Invece, purtroppo, il tessuto narrativo si perde in mille rivoli barocchi, strappandosi e ricucendosi alla meglio, diventando spesso inautentico e sconclusionato.
Il tentativo, pur meritorio, di Özpetek è quello di far incontrare le due anime di Napoli, rappresentate da due generi apparentemente antitetici, il melò e il mystery.
Se Adriana, una silenziosa e trattenuta Giovanna Mezzogiorno, è la classica eroina da mistery, il suo mondo è invece popolato di infiniti personaggi melodrammatici, più maschere teatrali che persone a tutto tondo, impegnati in una farsa costante. Neanche l’interpretazione di eccellenze storiche della napoletanità come Peppe Barra e Lina Sastri riescono a colmare le lacune della sceneggiatura e della struttura narrativa che, come stregata dalla ricchezza estetica e simbolica della città, non si dà pena di costruire personaggi credibili e sbanda inevitabilmente dietro a ogni particolare.
Si ha l’impressione di un infinito potenziale sprecato, un caleidoscopio di colori brillanti che non riescono a saldarsi in una forma, finendo per perdere la loro singolarità in una notte in cui tutte le vacche sone nere.
L’esoterismo paganeggiante, la superstizione, il rapporto fisico e denso con la morte (tanto rivoluzionario in una contemporaneità che la rimuove), la farsa come espediente per sostenere il peso dell’esistenza: ognuno di questi elementi del film poteva diventare un punto di vista da cui raccontare la città e i personaggi che la abitano. Ma Özpetek non ha scelto, ha voluto distillare l’anima di Napoli in un condensato di suggestioni stereotipiche, intrecciandola a un racconto confuso. Rimane una storia di passione e perdita che dovrebbe fungere da motore narrativo ma finisce anch’essa per diventare una caricatura di se stessa, fermandosi alla superficie dei personaggi e del mistero, adombrato sin da principio, di ciò che accade tra un uomo e una donna.
Se il regista rimane fedele alla sua cifra stilistica variopinta e barocca, venandola di un nero gotico, a differenza di altri film (Le fate ignoranti, Saturno contro tra tutti) non riesce stavolta a entrare nell’intimità dei personaggi, squarciandone il velo della maschera. Che sia voluta o meno questa superficialità getta lo spettatore che non si accontenti della giostra vibrante di colori e suggestioni in uno stato di insofferenza.
Il finale, col suo intreccio di esoterismo e psicoanalisi, trauma e farsa, è di nuovo segno di confusione narrativa, di un non racconto che abbaglia senza trasmettere nulla.
Eleonora Recalcati
Tag: 2 Stelle, Drammatico, Film Italiani, Noir, Thriller