Tutti abbiamo bisogno di un amico, ma non sempre ne abbiano uno. “Tramite amicizia” è l’agenzia di Lorenzo: se firmi un contratto con lui, Lorenzo sarà il tuo migliore amico per tutte le ore che vuoi al giusto prezzo. Quando però sono i suoi parenti a ingaggiarlo, le cose si complicano: accade infatti che lavorino nell’azienda di dolciumi di Alberto Dessè, e che questi sia pronto a chiudere la fabbrica e lasciarli sul lastrico… per solitudine. Dessè ha bisogno di un amico, gli dicono i parenti che vogliono tenersi il lavoro. E sebbene reticente, Lorenzo accetterà di recitare questa… amichevole truffa.
Il film parte relativamente bene. Anche l’introduzione in stile “spot commerciale” con sguardo in camera – a detta di molti un poco azzardata – la si può concedere agli autori, dal momento che stiamo parlando di un’azienda e dell’attività commerciale di Lorenzo. Tramite amicizia lo dice da subito: essere amici è un rapporto contrattuale.
Ma il film perde la bussola prima ancora di cominciare.
La stessa premessa, quella di fingersi amico di un imprenditore per non fargli chiudere l’azienda, sulla carta è carina; eppure anch’essa già svia dal tema. È chiaro, infatti, che Tramite amicizia vorrebbe discutere di cosa significhi davvero essere amici, farci chiedere se l’amicizia la si possa comprare o fabbricare; parlando di un’altra sfera dell’amore viene in mente il film Hitch.
Ma allora perché giocare la carta dell’inganno con Dessè, e vanificare così l’elemento più forte del film? Perché non stipulare tra Lorenzo e Alberto un contratto dichiarato e una scommessa per la storia che seguirà? Gli sceneggiatori Ansanelli e Siani sembrano dimenticarsi del loro stesso film; ed entro il primo quarto di pellicola anche il pubblico in sala si dimentica dell’agenzia di Lorenzo.
Eppure questo è solo l’incipit; presto il film incomincia a parlare di tutto e niente, di amore, di rimpianti, di relazioni libere, cercando poi di tirare le redini in un ultimo atto finale, disegnando un climax tagliato con l’accetta e senza suspence.
Il disordine della sceneggiatura è perfettamente incarnato nel personaggio di Maya, interpretato da una seppur piacevole Matilde Gioli, che con il racconto c’entra poco o nulla. Maya non affronta il tema, né ne introduce uno nuovo, se non una in-credibile storia d’amore con l’eroe Lorenzo, sorpreso quanto noi dalla piega che assume la vicenda.
Per un istante era parso che Maya avrebbe giocato nel film la carta della Pretty Woman, creando un triangolo amoroso carico di potenziale. E forse sarebbe valsa la pena seguire quel filone: amicizia e amore, attori, truffa e sentimenti; ci sarebbe stato tanto di cui parlare. Ma gli autori non hanno seguito questa strada, o forse non l’hanno nemmeno vista scivolare loro tra le mani.
È assai difficile far ridere quando la storia non funziona: dramma e riso vanno di pari passo. Ma insieme a una sceneggiatura povera la cui comicità mira molto in basso – impressionante come uno dei picchi di comicità giochi sul fraintendimento di “la tête” per “la tetta” – quello che davvero debilita la messa in scena è una regia che scommette sulla clowneria. Quella fatta male.
Siani costringe i suoi attori al macchiettismo, alle facce “buffe” e ai versi come ad una mascherata di carnevale. Poco divertenti sopra un palco di Colorado Cafè, sul grande schermo questi espedienti minano la credibilità di attori competenti, deludendo anche gli amanti della comicità più grottesca.
Alberto Bordin
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