Nel 1923, su un’isola remota di fronte alla costa irlandese, da cui provengono i clamori della Guerra civile, Padriac e Colm conducono una vita routinaria, incontrandosi ogni giorno alle 2 nell’unico pub.
Un giorno però Colm si nega all’appuntamento e comunica a Padriac che la loro amicizia è finita, senza fornire spiegazioni. Padriac, che non riesce a trovare una motivazione per quel gesto, tenta in ogni modo di fare pace con l’amico, aiutato dalla sorella Siobhan. Ogni tentativo però conferma il rifiuto di Colm che, per allontanare da sé Padriac in modo definitivo, lo minaccia di una ritorsione estrema e apparentemente insensata. I pochi abitanti del paese assistono, impotenti, al degenerare di un conflitto che avrà inaspettate ripercussioni su molti di loro.
Con Gli spiriti dell’isola Martin McDonagh si conferma una delle voci autoriali più potenti del cinema contemporaneo, riaffermando una visione e un marchio stilistico profondamente personali che, dopo In Bruges e Tre manifesti a Ebbing, Missouri si potrebbe sintetizzare in un motto: uno spiraglio di luce attraverso il buio.
Nella realizzazione di questa premiatissima pellicola (3 Golden Globe: per la miglior commedia, la miglior sceneggiatura e il miglior attore a Collin Farrell), il regista attinge forza da due ritorni alle origini: il primo al paesaggio irlandese di cui è originario e il secondo alla coppia attoriale Colin Farrell/Brendan Gleeson, protagonisti di In Bruges.
Nei dialoghi, nei silenzi e nelle apparizioni sceniche de Gli spiriti dell’isola si avverte la sapienza dell’autore teatrale che ha trovato nell’immagine cinematografica uno strumento per potenziare e far esplodere la parola e i conflitti interiori. Nonostante la comicità scura e grottesca che si affaccia sottotraccia, il genere a cui il film più si avvicina è la tragedia, nella sua capacità di fronteggiare il male senza perdere il potenziale catartico di un bene possibile.
La cifra di McDonagh è in fondo proprio questa, una visione disincantata della spietatezza della vita che non dimentica però la tenerezza e riesce, quasi per miracolo, a non sconfinare nel nichilismo e nella disperazione. In questo senso il regista trova nel paesaggio delle isole Aran il correlativo perfetto per la sua visione poetica: la durezza della vita in un luogo desertico e isolato, a contatto con l’Oceano e la potenza soverchiante della natura (condizione catturata nel 1934 dal poetico L’uomo delle Aran), mette a nudo l’uomo nella sua condizione di attesa della morte ma, al contempo, inondandolo di luce e bellezza, fa risplendere ciò che in lui faticosamente resiste al male.
Il regista conduce un lavoro di sottrazione certosino su recitazione, scenografia, sceneggiatura, al fine di far emergere il nucleo dell’umano. Le stratificazioni della Storia sono lontane, presenti sullo sfondo attraverso l’eco di spari e bombe della guerra civile irlandese. Nei confini circoscritti dell’isola, come sul palcoscenico di un teatro, possono andare in scena conflitti universali e senza tempo, tanto che prendono la forma di leggende e miti, come quello delle Banshee. I “memento mori” della vecchia megera e la statua della Madonna che vigila sull’unico bivio del sentiero, sono i poli metafisici che delimitano uno spazio scenico dominato dalla presenza della morte. La risposta dell’uomo è l’interrogazione sul senso che si gioca nel silenzio di pomeriggio vuoti e nel segreto del confessionale.
La vita dei due protagonisti, svuotata di tutto, si consacra alla ricerca di qualcosa che resista alla fine. Colm lo cerca nell’arte, nel desiderio di creare e lasciare un segno, Padriac l’ha sempre trovato nella gentilezza, nella disponibilità verso l’altro che non ha bisogno di glorie future, ma brucia e scalda nel presente.
Nella desertificazione del paesaggio, tutto acquista valore simbolico e imponenza scenica: le maschere intagliate nella povera casa di Colm, il suono delle campane che ogni giorno segnala le 2 di pomeriggio, il momento in cui i due amici erano soliti incontrarsi. Ma, soprattutto, gli animali, compagni alla pari di una vita ridotta all’osso, acquistano l’importanza e l’espressività di attori veri e propri: così il cane di Colm e l’asina di Padriac finiscono per incarnare la parte migliore dei due amici, l’innocenza e lo slancio verso l’altro inquinati dalla follia fratricida.
Il conflitto tra i due funge da catalizzatore per tutti gli abitanti dell’isola, li mette di fronte alla presenza inaspettata di un male che non credevano possibile, spingendoli a scelte di vita o di morte, che acquistano via via l’inevitabilità propria della tragedia. Eppure, fino all’ultimo, la possibilità di un altrove rimane percorribile, come la strada che si biforca sotto lo sguardo della Madonna.
Eleonora Recalcati
Tag: 4 stelle, Drammatico, Plauso della critica