1830. Accademia Militare degli Stati Uniti a West Point, Stato di New York. Un giovane cadetto dal nome Leroy Fry viene trovato impiccato. Secondo le analisi del medico legale, il corpo del ragazzo è stato spostato e il suo cuore estratto dal petto post mortem. Il direttore dell’accademia decide di rivolgersi al detective in pensione August Landor, un uomo dall’oscuro passato, ma sicuramente uno dei migliori nel suo campo. Convinto si tratti di un omicidio, Landor comincia le sue ricerche interrogando diversi cadetti, tra cui il brillante ed emarginato Edgar Allan Poe che da quel momento in poi lo affiancherà nelle indagini. Insieme scopriranno diversi indizi, risolveranno alcuni enigmi e giungeranno a una conclusione piuttosto inquietante.
The Pale Blue Eye, film tratto dal romanzo di Louis Bayard (2006), rispecchia perfettamente i canoni del genere poliziesco, ben riconoscibile fin dalle primissime scene. I toni inquietanti e l’atmosfera gotica in stile Il mistero di Sleepy Hollow di Tim Burton, sono la chiave di lettura di tutta la pellicola. Non è affatto un caso che il co-protagonista sia infatti lo scrittore, poeta, critico e saggista Edgar Allan Poe. La maggior parte dei suoi gialli è caratterizzata da quella stessa atmosfera macabra e angosciante del film e da una approfondita indagine psicologica sui personaggi. Sebbene da un lato il regista celebri l’autore mantenendo appunto l’ambientazione gotica, dall’altro riempie il film di elementi riconducibili ai thriller psicologici dei tempi più moderni che in qualche modo distraggono dall’obiettivo principale: risolvere il caso. È stata la scelta vincente? Forse, o forse no… sicuramente in questo modo qualche pezzetto ce lo perdiamo per strada.
Così come Poe, anche Scott non si accontenta di un’indagine puramente poliziesca. Va più a fondo, scava nel passato, nei traumi, nel dolore dei personaggi per scoprire qualcosa in più dell’animo umano. Il rischio di questo procedimento, però, è solo uno: tralasciare la trama principale, ossia l’indagine, che invece dovrebbe essere centrale in questi tipi di racconto. La suspense e il coinvolgimento dello spettatore nella risoluzione dell’enigma si sfumano piano piano, conducendolo verso un plot twist dal grande potenziale, ma purtroppo poco convincente. Avendo posto la nostra concentrazione troppo a lungo sulla psiche dei personaggi, arriviamo al colpo di scena finale senza più la voglia di scoprire chi sia il vero assassino… vorremmo invece sapere ancora di più di quei personaggi. Nonostante questo, The Pale Blue Eye è rimasto nella top 10 di Netflix per quasi tre settimane… e il motivo è chiaro: si serve del giallo per dirci qualcosa di più. Non basta il classico omicidio, si vuole andare alla radice, parlare di dolore, religione, poetica, vendetta, morte, amicizia… Attraverso i personaggi, parla di noi. Capiamo il dolore del giovane Poe per l’emarginazione subita. È diverso dagli altri, ama la poesia, le parole, l’amore, desidera qualcosa di più per la sua vita, nonostante tutti intorno a lui pensino non valga nulla. E poi c’è Landor, con quel suo dolore che gli lacera il cuore: una figlia stuprata e morta suicida per la troppa umiliazione. Come potremmo non capire la sua sete di vendetta? Alla base di tutto poi, il regista pone un elemento nel quale tutti possiamo immedesimarci: un’amicizia, quella tra Landor e Poe che potrebbe davvero trascinare il detective fuori dal baratro nel quale si è costretto a vivere fin troppo a lungo.
Elisa Ricci
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