1918. Paul Bäumer ha diciassette anni e non vede l’ora di arruolarsi nell’esercito del Kaiser. Vuole partecipare alla Grande Guerra e rimanere nella Storia del suo Paese, fomentato dall’insegnamento del suo professore del liceo e dal comune sentimento patriottico, che influenza anche la sua famiglia. Quando però viene finalmente arruolato e spedito sul fronte occidentale, imparerà presto che nella guerra c’è poco spazio per qualsiasi sentimento, ma solo orrore e dolore.
Il terzo adattamento cinematografico del capolavoro di Remarque si distacca dagli illustri predecessori e offre davvero qualcosa di nuovo. Alla parabola tragica di Paul gli sceneggiatori hanno aggiunto la cronaca degli ultimi febbrili giorni del conflitto, nei quali la Francia pretese dalla Germania quei termini di resa incondizionata che hanno posto le basi del secondo conflitto mondiale.
Il regista mostra così il circolo vizioso della guerra nel fango del campo di battaglia e tra i tavoli imbanditi delle trattative, la disillusione negli occhi sempre più spenti di Paul e in quelli increduli di Matthias Erzberger, lo storico firmatario tedesco dell’armistizio, che non si dà pace nel vedere i comandanti perdere tempo e vite inutili davanti all’evidenza di una guerra ormai finita. Le scene strazianti del fronte alimentano nello spettatore la fretta di vedere quell’accordo concluso, ma la trama ritarda apposta il fatidico momento, ricalcando l’interminabile agonia descritta nel romanzo di Remarque. Anche quando tutto sembra finito, ecco un altro sparo, un’altra vita che se ne va, fino ad arrivare insieme ai protagonisti alla conclusione che la guerra, per chi l’ha vissuta, non finisce mai.
Il film diretto da Edward Berger è già in lizza per il miglior film straniero ai prossimi Premi Oscar 2023. Una candidatura meritata per l’intreccio descritto sopra, per la fedele e cruda rievocazione della Grande Guerra e per la magistrale interpretazione degli attori. Tuttavia, non c’è dubbio che la condanna senza appello alla guerra di Niente di nuovo sul fronte occidentale risuoni viva più che mai ora che l’Europa è tornata a vibrare sotto i colpi delle bombe.
Ecco perché questo film meriterebbe l’Oscar solo per la scena della lotta all’ultimo sangue tra Paul e un soldato francese nella fossa creata da un colpo di mortaio: quando Paul lo pugnala a ripetizione, vuole solo che il suo nemico muoia al posto suo. Ma poi, quando il francese annaspa nel suo stesso sangue, tardando a morire, Paul arriva addirittura a cercare di salvarlo. La negazione della morte da parte del suo stesso autore è forse l’immagine più nitida dell’inutilità della guerra, che è il tema principale di questo film. L’uomo è tale solo quando incontra lo sguardo dell’altro e in questo si distingue dalle bestie, o peggio, da chi scrive che non c’è niente di nuovo nella morte di un soldato.
Claudio F. Benedetti
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