Nel 1933, tre reduci della Prima Guerra Mondiale sventano un colpo di Stato negli Stati Uniti, spingendo l’acclamato generale e veterano Gill Dillenbeck a esporsi a favore della Costituzione e a sostegno del Presidente. I tre reduci sono un avvocato afroamericano, un medico di origini ebraiche e un’infermiera di guerra: si sono conosciuti sul fronte e sono diventati amici per la vita alla fine della Grande Guerra, durante un periodo bohemien ad Amsterdam.
David O. Russell si cimenta nuovamente in un film che indaga tra le pagine nascoste della Storia, con il suo consueto stile brillante. Amsterdam romanza una vicenda realmente accaduta, con tanto di confronto finale tra l’interpretazione di De Niro e il vero discorso di Smedley Butler al Congresso degli Stati Uniti, con il quale l’ex generale dei Marines denunciò che un gruppo di industriali lo aveva avvicinato per cavalcare lo scontento dei reduci americani della Grande Guerra e guidarli a un colpo di Stato, sull’esempio delle dittature europee.
Russell struttura la vicenda sulla base di un giallo, dove la vittima è un altro veterano: il Comandante Bill Meekins, ex ufficiale maggiore dei due protagonisti Burt e Harold, che vengono chiamati a indagare sulla sua morte dalla figlia del comandante. Un flashback ci porta ai tempi del loro primo incontro, nel 1918, sul fronte francese. Qui i due amici si incontrano per la prima volta e fanno anche la conoscenza di Valerie, un’infermiera con velleità artistiche, di cui Harold s’innamora perdutamente. Al termine del conflitto, il trio non si divide: passa il 1919 finalmente in pace ad Amsterdam, dove vivono in amore e amicizia.
È proprio il ricordo di quei giorni a farli ritrovare a New York nel 1933 per risolvere il caso della morte del comandante e risalire così alla trama per rovesciare il governo, passata alla Storia – quella vera – come Business Plot.
Il film vive di momenti: alcune scene coinvolgono lo spettatore attraverso il sentimento e una fotografia artistica, altre invece sono pura meccanica che permette al giallo di avanzare. Il lungo flashback iniziale non aiuta: pur informandoci dell’origine del legame che unisce i tre protagonisti, lo stacco crea una distanza troppo grande con la vicenda principale, tanto che quando la storia torna al 1933 a stento si ricordano i nomi della vittima e degli altri personaggi assenti nel flashback. Il film poi continua presentando altri personaggi, vantando un cast d’eccezione, ma perdendo via via il proprio fuoco. La soluzione del giallo e la scoperta del complotto nel finale appaiono così una mera appendice: il cuore del film batte soprattutto su Burt, Harold e Valerie. Ciononostante, la loro storia viene interrotta sul più bello e ripresa solo a tratti, per poi concludersi velocemente nell’epilogo, lasciando al pubblico l’impressione di non aver vissuto abbastanza il rapporto del trio e di avere solamente intravisto quella magia che Amsterdam ha ingenerato in loro.
Tuttavia, questo amaro in bocca potrebbe essere stato voluto proprio dal regista: non per sadismo ma per esporre il tema del film. L’amore è un sogno che – secondo l’autore – per essere vissuto appieno deve essere separato dalla vita di tutti giorni, dai rapporti – anche famigliari – che distolgono gli amanti dal donarsi vicendevolmente. E la guerra è la distrazione più futile di tutte: gli uomini che se ne occupano non possono pertanto concentrarsi sull’amore e costringono gli innocenti a fare altrettanto.
Claudio F. Benedetti
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