Alice vive un matrimonio da favola con il suo Jack, in un quartiere sperduto del deserto californiano chiamato Victory. L’atmosfera, gli usi e i costumi sono quelli degli anni’50, ma Alice, nonostante l’apparente felicità, inizia a farsi delle domande: dove si sono incontrati? E quando? Perché tutti i loro mariti lavorano nella stessa azienda, perché vanno sempre in vacanza negli stessi posti? Quando una delle sue vicine scompare, Alice decide di indagare su quella gabbia d’oro…
Olivia Wilde alla sua seconda regia si cimenta in un thriller piscologico, creando un mondo distopico che riporta i personaggi femminili del film allo stereotipo delle mogli degli anni’50: casalinghe, perfettamente curate come le loro case e, soprattutto, al completo servizio del marito.
Florence Pugh interpreta così una donna che vive per rendere felice il suo uomo, dall’aspetto fisico alla custodia del focolare domestico, per accogliere ogni sera come si deve il suo Jack, interpretato da un Harry Styles alla prima parte da protagonista. Il film inizia descrivendo proprio il loro idillio, a cui sembra mancare solo la nascita del loro primo figlio per essere completo. Un paradiso per entrambi, ma soprattutto per Jack, che insieme agli altri mariti sembra nascondere qualcosa alle mogli. Presissimo dal lavoro, Jack fugge ogni domanda di Alice sull’origine di quella comunità, Victory, così felice ma al tempo stesso così chiusa.
Sarà solo la scomparsa di una vicina di Alice, che come lei aveva iniziato a chiedere troppo, a spingerla a trovare da sola le risposte che cerca. Alice scoprirà così che Victory è solo uno specchietto per le allodole che nasconde una realtà tremenda, fatta di manipolazione e bugie: una vera e propria distopia maschilista, per garantire agli uomini di poter comandare le vite delle donne.
È forse qui che il film pecca in credibilità, diventando un vero e proprio horror in cui i mostri sono i mariti. Meschini, codardi, che per mantenere il controllo delle mogli che giurano di amare sono disposti persino a toglier loro il libero arbitrio. Non c’è un personaggio maschile che si salvi, anzi, il film non sembra avere intenzione di salvarne nessuno, trasformando così gli uomini che vi appaiono in macchiette. Questa mancanza di un punto di vista diverso rischia di trasformare la trama del film in una propaganda contro gli uomini fine a se stessa: quando il lupo fa troppa paura non si va neppure più a passeggiare nel bosco. E infatti la critica del film si abbatte anche contro quei personaggi femminili che scelgono volontariamente la vita casalinga: è la stessa Olivia Wilde a interpretare una delle mogli di Victory antagonista di Alice, che rimane accanto al marito. Anche qui, però, non per amore del mostro, ma per i loro figli.
Nonostante la forte tematica affrontata, di questo film si è parlato più per quel che è successo sul set e in fase di promozione. Dalla discussa scelta di Olivia Wilde di sostituire in corsa il protagonista Shia LeBoeuf con il proprio fidanzato Harry Styles, al fantomatico sputo a Venezia dell’ex One Direction a Chris Pine, il villain del film. La stessa Florence Pugh pare aver contribuito al minimo alla promozione del film poiché non ha gradito il comportamento della regista sul set, soprattutto nei confronti del celebre fidanzato.
Insomma, una produzione turbolenta, presa più dalla soluzione dei problemi contingenti rispetto a quelli in fase di scrittura. Don’t Worry Darling appare dunque un’occasione persa per affrontare un tema molto sentito come la condizione della donna e del matrimonio ai giorni nostri.
Claudio F. Benedetti
Tag: 2 Stelle, Drammatico, Thriller