1719. Naru, una ragazza Comanche sogna di diventare una cacciatrice, come suo fratello Taabe. Ma le regole della tribù impongono alle donne di diventare madri e guaritrici. Naru si ribella, va a caccia in solitaria, finché non arriva una minaccia dai cieli. Naru dovrà crescere in fretta e difendere la sua gente dal primo avvento di un alieno predatore.
Il quinto capitolo della serie con protagonista l’alieno che ha come unico obiettivo l’annientamento di chi ritiene un degno avversario… non è tanto diverso dai suoi predecessori. Non aggiunge nulla, se non effetti speciali al passo con i tempi e la tematica del momento – l’empowerment femminile. Degna di nota anche una fotografia di alto livello, seppure solamente riservata ai paesaggi canadesi e ai ritratti di volti indiani che riproducono fedelmente lo stile Comanche.
Per il resto, la trama si alterna tra l’emancipazione della protagonista e la sua sete di vendetta, quando il Predator uccide tutti i suoi compagni guerrieri. Le scene di combattimento esaltano gli amanti dello splatter, con teste mozzate, lapilli di sangue e creativi modi per uccidere uomini e bestie.
Tolto tutto ciò, rimane ben poco per destare l’attenzione (o lo sdegno) del pubblico. Naru è una ragazza arrogante, che sembra disprezzare i componenti della sua tribù, uomini e donne che siano. Nessuna la capisce, tranne l’anziana che comunque le insegna un’attività che lei non vuole apprendere: Naru vuole cacciare prede, non guarire i suoi simili. Quello che doveva essere nelle intenzioni degli autori una scelta di vita, finisce con l’apparire come un capriccio. Naru litiga anche con il fratello maggiore, che la vuole proteggere. Impara da sola a cacciare, passando poco realisticamente dal non riuscire a prendere una lepre ad affrontare un predatore alieno che uccide qualsiasi essere vivente senza nemmeno essere scalfito.
La sensazione alla fine del film è che l’ora e quaranta passata a vederlo sia servita a poco. A parte l’emozione che può essere scaturita da un videogioco sparatutto vietato ai minori, nemmeno la vendetta è appagata. La protagonista lotta per sopravvivere, non per difendere qualcuno o qualcosa di più grande. Naru è diffidente con tutti, e guarda dall’alto in basso anche le donne che si adeguano allo status quo. È difficile affezionarvisi: più facile con chi tenta di proteggerla, come suo fratello Taabe o il suo cagnolino.
Il problema forse è a monte. La serie di Predator ha un genere preciso e una trama ricorrente: un film d’azione che parla di un pericolo alieno e soldati incaricati di eliminarlo. Se il film si concentra su questo, senza addossarsi valori troppo grandi, a nessuno verrebbe in mente di criticarlo. Prey invece cerca di usare un format di successo come sponda per parlare di empowerment femminile e acquistare una nuova fetta di mercato. Per riuscirci, utilizza un’ottima fotografia, un allestimento fedele ed effetti speciali di ultima generazione. Come trama, sceglie un approccio Davide contro Golia, ma qui abbiamo un Davide assai poco simpatico, con cui si ha difficoltà a empatizzare. Anche per questo il film emoziona ben poco.
Claudio Benedetti
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