Benedetta è la popolare figlia del sindaco di San Giovanni in Marignano, impegnato nella corsa alle elezioni comunali. Un giorno, la sua vita viene stravolta dall’incontro con gli strambi abitanti di una casa famiglia, appena trasferitasi in un palazzo del centro storico della cittadina. Dopo un inizio piuttosto conflittuale, Benedetta comincia a sentirsi irrimediabilmente attratta dal mondo caotico e colorato della casa famiglia, dove ognuno ha il proprio ruolo ed è amato e apprezzato anche per i suoi “difetti” e le sue apparenti “mancanze”…
Alla base di Solo cose belle, diretto da Kristian Gianfreda e realizzato in collaborazione con l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, c’era un obiettivo ben preciso: realizzare una commedia che raccontasse la vita quotidiana delle case-famiglia e il loro impegno in favore degli ultimi e degli emarginati, con un approccio leggero e uno sguardo attento e rispettoso. Fonte di ispirazione primaria era l’esperienza concreta dell’associazione, fondata nel 1968 da don Oreste Benzi e oggi diffusa in oltre 42 nazioni, con trecento case famiglia presenti solo sul territorio italiano.
Si può dire che l’obiettivo sia stato pienamente raggiunto: Solo cose belle – girato da una piccola produzione con attori pressoché sconosciuti e, in alcuni casi, anche affetti da disabilità – fa ridere, ma anche riflettere e commuovere, grazie soprattutto alla messa in scena di una famiglia alternativa composta da una coppia di genitori, un immigrato africano, un’ex prostituta con la figlia neonata, un ragazzo in pena alternativa, due ragazzi con gravi disabilità e un figlio naturale. L’incontro-scontro degli abitanti della casa famiglia con Benedetta prima e con l’intero paese dopo riesce a mettere in scena in modo credibile il passaggio da un atteggiamento di totale chiusura e diffidenza a uno, progressivamente, di curiosità, apertura e amicizia.
Solo cose belle è un progetto ammirevole e degno di nota, perché dimostra non soltanto che si possono fare dei bei film anche con delle risorse e un budget limitati, contando sulla dedizione e l’impegno di tutte le persone coinvolte – dal regista agli sceneggiatori (uno dei quali collabora da tempo alla realizzazione di questo volume), dagli attori alle maestranze tecniche – ma anche che è possibile mettere al centro di una storia un’esperienza bella, concreta e anche un po’ difficile, realizzando un prodotto che è, prima di tutto, al servizio del messaggio che vuole trasmettere. Una scelta magari azzardata, specie in termini di distribuzione, ma che si pone come esempio di un cinema di intrattenimento in grado, anche, di far crescere lo spettatore.
L’unica perplessità riguarda il finale, volutamente agrodolce (forse più “agro” che “dolce”). La scelta degli autori va probabilmente in direzione di un approccio più realistico e verisimile all’argomento trattato, in virtù del fatto che non tutti (né tutto) possono essere salvati. Un po’ di amaro in bocca resta, anche perché il successo di alcuni prodotti degli ultimi anni (prima tra tutti la serie tv americana This Is Us) dimostra che a volte abbiamo bisogno di finali positivi, senza “se” e senza “ma”.
Scegliere un film 2019
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