Quando la Francia si trova minacciata dalle trame del cardinal Mazzarino, la regina Anna d’Austria decide di chiedere aiuto ai quattro moschettieri, che in passato avevano dato numerose prove del loro valore. Ma D’Artagnan è diventato un allevatore di maiali, Aramis si è rifugiato in convento (più per sfuggire ai debiti di gioco che per vocazione), Athos si diletta con festini in cui ormai la fatica supera il piacere, e Porthos affoga i suoi dispiaceri nell’alcol. Per i quattro amici di un tempo, afflitti da artrosi e alluci valghi, non sarà facile rimettere mano alle spade…
Siamo nel «1650 o suppergiù». Fin dall’incipit, si capisce che la storicità non rientrava fra le principali preoccupazioni di Veronesi nel momento in cui ha concepito il suo liberissimo adattamento di Vent’anni dopo. Del romanzo di Dumas, sequel del più celebre classico, ha mantenuto solo lo spunto iniziale (quello dei quattro moschettieri che si ritrovano vent’anni dopo le imprese che li hanno resi famosi per mettersi nuovamente al servizio della Corona), mentre il complesso intreccio ottocentesco viene ridotto ad un’improbabile opposizione tra la regina Anna d’Austria, che combatte per la libertà religiosa degli ugonotti, e lo spietatissimo cardinal Mazzarino, che vuole sterminarli. Le forzature sono evidenti, ma si dimenticano velocemente nel momento in cui vengono introdotti i protagonisti: quattro moschettieri invecchiati incredibilmente male, ma proprio per questo capaci di suscitare risate piene di tenerezza. Favino, Mastandrea, Papaleo e Rubini si rivelano, infatti, una riuscitissima miscela comica e riescono, seppure con alcuni momenti di fatica, a sostenere da soli l’intero film. Il D’Artagnan di Favino ha un ruolo preminente, caratterizzato da un italofrancese pomposo e sgrammaticato che non esaurisce mai il suo effetto comico, Porthos/Mastandrea aggiunge un tocco di romanesco, Athos/Papaleo si dibatte in un ruolo di gran viveur di cui sente più il peso che la gioia, e l’Aramis interpretato da Rubini cerca maldestramente di introdurre un senso morale all’interno del gruppo, con scarsissimi risultati.
A rendere l’insieme visivamente godibile contribuisce un’affascinante Basilicata travestita da Francia, in cui gli elementi del film in costume si mischiano a tocchi pop (fra cui un’ardita colonna sonora).
Se il film si fosse limitato a una serie di sketch sugli eroi che invecchiano probabilmente si sarebbe rivelata una piacevole alternativa al cinepanettone natalizio, anche se forse con una comicità più adatta a un pubblico adulto che familiare.
Il problema nasce piuttosto dal tentativo di sviluppare e complicare una trama di per sé debolissima, cercando di caricarla di metafore e riferimenti alla situazione politica attuale che, se colti, appaiono palesemente fuori luogo. Trama che perde definitivamente ogni coesione nella seconda metà del film e che viene risolta sbrigativamente con un finale tanto spiazzante quanto sdolcinato.
Rimane quindi un film “a metà”, indubbiamente divertente e apprezzabile per un ampio pubblico, ma che avrebbe potuto essere molto più incisivo, se si considera il budget elevato, l’idea originale (almeno per il mercato italiano) e i trent’anni di tempo che ha avuto il regista per maturarla prima di trovare dei produttori disposti a scommettere su di essa.
Scegliere un film 2019
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