Julie è una ragazza volubile che cambia università e lavoro con la stessa facilità con cui passa da un fidanzato all’altro. Una sera conosce e si innamora di Aksel, un fumettista di successo che ha quindici anni più di lei. I due apparentemente stanno bene insieme, nonostante alcune differenze di mentalità, legate soprattutto al desiderio di avere figli e formare una famiglia. In realtà Julie non è felice, perché non sa chi è e non crede in se stessa, e a causa di questa inquietudine sente il bisogno di fare continuamente nuove esperienze e conoscenze. Accade così, imbucandosi ad una festa, che incontri Eivind, un cameriere con il quale passa una notte di grande sintonia e intimità, scherzando e facendosi confidenze, senza però consumare il tradimento. L’avventura sembra finita lì ma alcuni mesi dopo, casualmente, i due sconosciuti si incontrano di nuovo nella libreria dove lavora Julie. Scoprono così che nessuno dei due ha mai smesso di pensare all’altro…
La persona peggiore del mondo fa parte di una trilogia di film girati ad Oslo (gli altri due sono Reprise e Oslo, 31. August) da Joachim Trier, regista norvegese con una certa dimestichezza con Cannes e i festival europei, dove nel corso degli anni ha raccolto premi e riconoscimenti con diversi film (tutti scritti in collaborazione con lo stesso sceneggiatore, Eskil Vogt).
A dispetto della suddivisione in capitoli (con tanto di prologo ed epilogo), che danno alla storia una struttura un po’ rigida ed episodica, e dei tempi di racconto piuttosto dilatati, che creano un certo pathos e valorizzano la recitazione (l’attrice ha anche vinto il premio per la migliore interpretazione femminile a Cannes), la storia scorre bene, per due ore di narrazione intense, soprattutto emotivamente.
In realtà, il titolo e anche il trailer creano un’aspettativa che viene felicemente infranta nel corso del film. Ci si aspetta infatti una storia che ha come protagonista una giovane “mangia uomini”, un modello comportamentale deprecabile da cui poter imparare, guardando i suoi errori, come non ci si comporta.
E in effetti anche il prologo e la prima metà del film sembrano sottendere un giudizio negativo sulla protagonista, così instabile, immatura e profondamente individualista. In realtà, come si capisce più avanti, non è a lei (forse) che si riferisce il titolo, perché in effetti c’è tanto bene in questo personaggio, solo che lei, come lo spettatore, all’inizio ancora non lo sa o non riesce a vederlo (come le dice anche Aksel in una delle scene finali).
Infatti, come capiamo meglio nel corso della storia, Julie è semplicemente una ragazza che sta diventando adulta, una giovane donna che non sa stare da sola perché ancora in cerca di se stessa e per questo cerca di riempire il suo vuoto facendo cose e conoscendo persone, dicendo di sì a tutto e al contrario di tutto. Una persona che però alla fine scopre il significato della parola amore, che talvolta vuol dire sapersi mettere da parte, imparando anche ad accettare se stessa, con la propria personalità e la propria indole che, anche se non omologabile a quella della maggioranza delle persone, non è detto che per questo sia sbagliata.
Insomma, se nella prima parte il film sembra la messa in scena di un disastro esistenziale, alla fine invece si capisce che anche nel caso di Julie tutto serve e ha un senso, persino gli errori propri ed altrui, perché le situazioni e le persone cambiano, e nonostante le cadute e anche le disgrazie che purtroppo possono capitare, la vita vale sempre la pena di essere vissuta.
Gabriele Cheli
Tag: 3 stelle, Drammatico, Sentimentale