Anni ’90. Lee Israel è una scrittrice lesbica specializzata in biografie che dimostrano grande sensibilità, ma non vendono più molto. Lee, però, ha anche un carattere spigoloso e aggressivo che, insieme al vizio del bere, l’ha portata a poco a poco a rimanere sola (unico affetto, l’amata gatta Jersey) e a perdere ogni occasione di lavoro. Al verde e senza ispirazione, Lee si improvvisa falsaria di lettere di autori famosi (Noè Coward, Dorothy Parker e molto altri), che vende alle sofisticate librerie di Manhattan, in combutta con l’altrettanto sgangherato scrittore gay Jack Hock. Ma l’imbroglio sarà scoperto e Lee dovrà fare i conti con cosa vuole fare della sua vita…
Incapace di venire a patti con il mondo (e anzi, a quanto vediamo fin dai primi minuti del film, decisa a renderselo ostile con il suo caustico sarcasmo e la sua aggressività) Lee Israel è un personaggio che fa poco per farsi amare. Non basta vedere insieme a lei la fatuità del mondo letterario newyorkese o soffrire con lei quando il veterinario non accetta di curarle il gatto finché non avrà saldato i suoi debiti, visto che poi i soldi per un drink al bar Lee li trova sempre.
Intuiamo in lei una ferita che ha radici lontane (ma incontreremo solo alla fine la compagna che lei stessa ha allontanato, e l’incontro si limita a ribadire ciò che di Lee già sappiamo), anche se il film in realtà non sembra poi tanto interessato ad esplorare le ragioni profonde di una chiusura al mondo e ai rapporti che solo l’improbabile alleanza con il disastrato Jack sembra almeno provvisoriamente intaccare.
Più a fuoco è forse il contorto percorso che porta Lee a scoprire e rischiare la sua voce (come le suggeriva la snobbissima agente a inizio film), passando dalla scrittura “trasparente” della biografia, attraverso l’imitazione dello stile altrui nella truffa ai danni di negozianti incauti e collezionisti danarosi, fino a venire alla scoperta per raccontare, con orgoglio, i propri errori e la propria miseria. Trovando, forse, la possibilità di un nuovo inizio.
Melissa McCarthy è brava come sempre e non si tira indietro nell’incarnare fino all’estrema sgradevolezza un personaggio che sfida lo spettatore a prendere le sue parti (come inevitabilmente si fa in ogni storia di imbroglio) nonostante tutto. Il suo partner in crime segue un po’ lo stesso percorso; Richard E. Grant si gioca meglio le sue carte come omosessuale british dall’umorismo leggero, ma pure lui, in realtà, è un personaggio tutt’altro che amabile.
Lo spettatore, dunque, si troverà un po’ smarrito in un racconto in cui troppo spesso è respinto allo stesso modo in cui la sua protagonista respinge qualunque tentativo di simpatia, giocandosi, a un certo punto, anche la timida offerta di amicizia della prima libraia che finisce per imbrogliare.
Il finale in qualche modo catartico ripaga solo in parte della fatica della visione, che sarà certamente più consona a spettatori dai gusti letterari raffinati, a cui il gioco delle imitazioni di Lee strapperà sicuramente quel sorriso che la sua vita sicuramente ci nega.
Scegliere un film 2019
Tag: 3 stelle, Biografico, Commedia, Drammatico